lunedì 15 luglio 2019

“Le rughe del sorriso” di Carmine Abate: Recensione di Tiziana Viganò


di Tiziana Viganò

Il vero scrittore si differenzia dal semplice narratore perché al contenuto e alla padronanza tecnica unisce uno stile personale e un linguaggio originale, di grande ricchezza lessicale, dove le parole prendono vita modellandosi addosso ai personaggi e alla storia, risuonando echi del passato ma anche inventando nuove forme, neologismi, onomatopeie, voci dialettali o straniere che rispecchiano l’esperienza personale e collettiva.

L’arte di giocare con le parole e con le lingue – dialetto calabrese, arbëresh, somalo, germanese, italiano - si unisce armoniosamente nel nuovo, splendido libro di Carmine Abate, alla responsabilità civile di dare dignità letteraria ai migranti, raccontando le loro storie per far conoscere ai lettori la loro realtà e aprendo così una conoscenza che è l’unica via per distruggere i pregiudizi. La magia dello scrittore si attua con la trasfigurazione di queste esperienze a simbolo universale, fruibile perché diventato patrimonio di tutti.

Lo scrittore ha grande esperienza di migrazioni, quando a emigrare erano gli italiani, che andavano a faticare all’estero: suo nonno in America, suo padre in Francia e Germania, lui stesso in giro per l’Europa e poi insegnante di italiano in Trentino, ben lontano per ambiente e cultura dalla sua Calabria. Così nel libro affronta di tema del viaggio con consapevolezza e conoscenza diretta e con l’empatia di chi vuole penetrare la realtà delle migrazioni africane per arricchirsi sempre di più accostandosi alla diversità.

Così il viaggio diventa ricerca di persone e di culture, apre alla speranza di un mondo futuro possibile, dove l'integrazione porti la pace.


Nel primo capitolo Carmine Abate racconta l’immagine che l’ha ispirato: in mezzo a una folla inferocita, italiani contro migranti che hanno ottenuto una casa popolare, vide un giorno una giovane donna

“che alla ferocia della folla reagiva sorridendo: non un sorriso di sfida e neppure ironico, ma un sorriso incredulo, a momenti distratto come di chi fissa il nulla -, che forse racchiudeva una timida richiesta di comprensione o una preghiera”

Un sorriso come quello di Sahra, contornato da un sottile reticolo di rughe che indicano le sofferenze patite, le gioie e le speranze, dietro il quale si nasconde la verità di questa storia.
La bellissima nìvura sparita dal centro di seconda accoglienza di un paese della Calabria, è protagonista della vicenda, insieme ad altre forti e magnifiche figure di donne capaci di resistenza e di resilienza contro drammi e tragedie per noi occidentali impensabili.
Il protagonista maschile, il suo professore d’italiano Antonio Cerasa, si mette alla ricerca della donna di cui è innamorato – anzi amorato -, che a sua volta era partita alla ricerca del fratello Hassan, un geologo: così Antonio prende contatto con persone diverse che gli raccontano un’esperienza nuova, realmente attuata in Somalia dal 1992. È un villaggio, Ayuub, fondato per raccogliere gli orfani e le vedove di guerra, dove si pratica la democrazia, dove le donne possono studiare e andare all’università, dove non si pratica l’infibulazione, dove bianchi e neri vivono e lavorano in un clima di collaborazione: un’enclave straordinaria circondata da un paese in guerra.
Ma viene il momento della fuga quando la situazione politica precipita e così Antonio ricostruisce il racconto del tragico percorso dalla Somalia alle carceri della Libia e ai barconi nel Mediterraneo di Sahra, Faaduma e della piccola Myriam. Un lunghissimo, doloroso e complicato viaggio alla ricerca della speranza, di una vita nella pace.

Ci sono associazioni in Africa (come in altre parti del mondo) che lavorano insieme con la popolazione per uno sviluppo che punti sull’autonomia, partendo dall’istruzione e dalla formazione, chiavi di ogni cambiamento che possa permanere nel futuro, fuori da ogni logica di beneficenza temporanea o neocolonialismo di rapina. Così come in Italia ci sono Centri di accoglienza basati sulla solidarietà e mirati all’integrazione attraverso una conoscenza del diverso che è la base per distruggere i pregiudizi e il razzismo.

Con la sua scrittura fluida e d’immediata comprensione, nonostante le molte lingue che la animano, Carmine Abate in “Le rughe del sorriso” (2019, Mondadori), racconta molte storie all’interno della narrazione principale, mettendo il lettore a contatto con realtà dolorose e difficili, ma in ogni pagina scorre un afflato lirico e contemporaneamente epico, come del resto in tutti i suoi libri.
“Una storia necessaria”, dice l’autore, nata dall’urgenza di conoscere profondamente un’attualità scottante, che non abbandona mai la speranza e la positività, la stessa che si legge nella luce degli occhi di donne e di uomini indimenticabili incontrati realmente e raccontati nel libro.

Chiudo con una frase di Maana Suldaan, fondatrice di Ayuub

“Se riuscirai a far ridere un bambino che piange, che soffre, che sta male, sorriderai anche tu per tutta la vita”

In questo blog la recensione a “La collina del vento” di Carmine Abate, premio Campiello 2012
               

l'INCONTRO CON L'AUTORE A CANTU' GRAZIE ALL'ASSOCIAZIONE "lE SFOGLIATELLE"