di Tiziana Viganò
L’arte di giocare con le
parole e con le lingue –
dialetto calabrese, arbëresh, somalo, germanese, italiano - si unisce armoniosamente nel nuovo,
splendido libro di Carmine Abate,
alla responsabilità civile di dare dignità letteraria ai migranti,
raccontando le loro storie per far conoscere ai lettori la loro realtà e aprendo
così una conoscenza che è l’unica via per distruggere i pregiudizi. La
magia dello scrittore si attua con la trasfigurazione di queste esperienze a
simbolo universale, fruibile perché diventato patrimonio di tutti.
Lo scrittore ha grande esperienza di migrazioni, quando a emigrare erano gli italiani, che
andavano a faticare all’estero: suo
nonno in America, suo padre in Francia e Germania, lui stesso in giro per
l’Europa e poi insegnante di italiano in Trentino, ben lontano per ambiente e
cultura dalla sua Calabria. Così nel libro affronta di tema del viaggio con consapevolezza
e conoscenza diretta e con l’empatia
di chi vuole penetrare la realtà delle migrazioni africane per arricchirsi sempre di più
accostandosi alla diversità.
Così il viaggio diventa ricerca di
persone e di culture, apre alla speranza di un mondo futuro possibile, dove l'integrazione porti la pace.
Nel primo capitolo Carmine
Abate racconta l’immagine che l’ha ispirato: in mezzo a una folla
inferocita, italiani contro migranti che hanno ottenuto una casa popolare, vide
un giorno una giovane donna
“che alla ferocia della
folla reagiva sorridendo: non un sorriso di sfida e neppure ironico, ma un
sorriso incredulo, a momenti distratto come di chi fissa il nulla -, che forse
racchiudeva una timida richiesta di comprensione o una preghiera”
Un sorriso come quello di Sahra, contornato da un sottile reticolo
di rughe che indicano le sofferenze patite, le gioie e le speranze, dietro il quale si
nasconde la verità di questa storia.
La bellissima nìvura
sparita dal centro di seconda accoglienza di un paese della Calabria, è
protagonista della vicenda, insieme ad altre forti e magnifiche figure di donne
capaci di resistenza e di resilienza contro drammi e tragedie per
noi occidentali impensabili.
Il protagonista maschile, il suo professore d’italiano
Antonio Cerasa, si mette alla ricerca della donna di cui è innamorato – anzi amorato -, che a sua volta era partita
alla ricerca del fratello Hassan, un geologo: così Antonio prende contatto con
persone diverse che gli raccontano un’esperienza nuova, realmente attuata in Somalia dal
1992. È
un villaggio, Ayuub, fondato per raccogliere gli orfani e le vedove di guerra, dove
si pratica la democrazia, dove le donne possono studiare e andare
all’università, dove non si pratica l’infibulazione, dove bianchi e neri vivono e lavorano in un clima di collaborazione: un’enclave straordinaria circondata da
un paese in guerra.
Ma viene il momento della fuga quando la situazione politica
precipita e così Antonio ricostruisce il racconto del tragico percorso dalla
Somalia alle carceri della Libia e ai barconi nel Mediterraneo di Sahra, Faaduma
e della piccola Myriam. Un lunghissimo, doloroso e complicato viaggio alla ricerca della speranza, di una
vita nella pace.
Ci sono associazioni in Africa (come in altre parti del
mondo) che lavorano insieme con la popolazione per uno sviluppo che punti sull’autonomia,
partendo dall’istruzione e dalla formazione, chiavi di ogni cambiamento
che possa permanere nel futuro, fuori da ogni logica di beneficenza temporanea
o neocolonialismo di rapina. Così come in Italia ci sono Centri di accoglienza
basati sulla solidarietà e mirati all’integrazione attraverso una conoscenza del diverso che è la base
per distruggere i pregiudizi e il razzismo.
Con la sua scrittura fluida e d’immediata comprensione,
nonostante le molte lingue che la animano, Carmine Abate in “Le
rughe del sorriso” (2019, Mondadori),
racconta molte storie all’interno della narrazione principale, mettendo il
lettore a contatto con realtà dolorose e difficili, ma in ogni pagina scorre un afflato lirico e contemporaneamente
epico, come del resto in tutti i suoi libri.
“Una storia necessaria”, dice l’autore, nata dall’urgenza di
conoscere profondamente un’attualità scottante, che non abbandona mai la
speranza e la positività, la stessa che si legge nella luce degli occhi di
donne e di uomini indimenticabili incontrati realmente e raccontati nel libro.
Chiudo con una frase di Maana Suldaan, fondatrice di Ayuub
“Se riuscirai a far ridere un bambino che piange, che soffre, che sta
male, sorriderai anche tu per tutta la vita”
In questo blog la recensione a “La
collina del vento” di Carmine Abate, premio Campiello 2012
l'INCONTRO CON L'AUTORE A CANTU' GRAZIE ALL'ASSOCIAZIONE "lE SFOGLIATELLE" |