domenica 20 dicembre 2020

"Venezia soluzione estrema" di Giancarlo Bosini


Sinossi

Venezia, ultimi decenni del Novecento. Dopo aver accettato di lavorare alla trasformazione del monumentale Mulino Mendel in un esclusivo complesso alberghiero, l’architetto Luigi Bellotti scopre che esiste una trama segreta per affossare l’operazione e che inoltre tra le mura del Mulino si celano molti enigmi irrisolti. Un quadro reso ancora più cupo da un omicidio e da alcuni versi profetici di Nostradamus, che sembrerebbero confermare l’esistenza di una misteriosa maledizione. Dopo un incidente sospetto, dal quale si salverà per puro caso, Bellotti intraprende con tenacia un viaggio tra presente e passato che lo condurrà ai fatti lontani in cui tutto ha avuto origine, portando in superficie verità occultate da anni. Una storia liberamente ispirata alle vicende del Mulino Stucky di Venezia, oggi Grand Hotel di una famosa catena alberghiera.

Venezia soluzione estrema di Giancarlo Bosini

Macchione Editore (5 novembre 2020)

Pagine 136

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SEGUE ESTRATTO PAG. 90-95


Il Molino Stucky
Di nuovo una notte, di nuovo i miei incubi; un passato che non mi vuole lasciare, che mi ha reso quello che sono oggi, che mi ha fatto scoprire l’amore e il dolore, chi mi ha amato, chi mi ha detto ti voglio bene, ancora mi chiedo come ho fatto a trovare la forza di rialzarmi e andare avanti.

Nel passato è il cammino che il destino ha tracciato per farci arrivare fino al punto in cui ci troviamo e non si può cambiare ciò che è stato, non ci possiamo fare niente, quello che è successo è successo ed è ciò che doveva succedere. Il ricordo diventa una prigione che ci intrappola, portando la nostra vita a un punto morto, impedendoci di guardare al presente e al futuro; dimenticare purtroppo è solo un sogno, vorrei che i momenti felici tornassero e mi facessero sentire come allora.

Le ferite del passato guariscono solo quando smettiamo di ricordare e questo richiede forza, una forza che non trovo. Il tempo passa e noi non siamo più quelli che eravamo, rimangono cicatrici che conserviamo come se fossero una difesa da altra sofferenza, ma, invece di proteggerci, ci rendono il vivere ancor più doloroso.

È ancora presto, ma la vita è già cominciata; osservo anziani leggere il giornale, mentre alcune donne chiacchierano al vociare di bambini che giocano. Si respira tranquillità, quella tranquillità che tanto mi manca.

San Giacomo da l’Orio, un campo con alberi e panchine, fin dal mattino si presenta vitale e molto frequentato.

Nostradamus
La zingara che prima elemosinava all’angolo viene ora verso di me; porgimi la mano sinistra e scoprirai che la vita ti sorprenderà, mi sussurra fissandomi con il suo sguardo profondo. Rimango a guardare i suoi occhi quasi incantato; senza esitare le tendo la mano. La guardo studiare le linee che solcano il mio palmo e sento il suo profumo che quasi mi stordisce.

“Vedo un passato triste, uno spettro che ogni giorno ti tortura, ma anche una luce che ti porterà sollievo. Scoprirai che il dolore non dura per sempre, tutto cambierà presto, qualcuno ti aspetta e ti sarà vicino. Penserai che una persona ti abbia usato, ti sentirai tradito, non lasciarti ingannare, i suoi sentimenti sono sinceri. Devi credere nella vita.”

“Oramai ho smesso di farlo da troppo tempo.”

“Hai amici leali, lo vedo, e quando l’amicizia è vera vuol dire che credi nella vita, devi solo rendertene conto, ci riuscirai. Vuoi pescare una carta?” mi domanda porgendomi i suoi tarocchi.

Penso agli Arcani, rappresentano i capi temporali e spirituali della vita, le virtù, l’amore, la morte e la risurrezione; allungo la mano e scopro una carta. Quando rialzo gli occhi incontro ancora il suo sguardo, ora mi appare più sereno.

L'incendio del Molino Stucky
“La Torre;” osserva a voce bassa “un cambiamento improvviso che conduce alla distruzione di quello che c’era prima, per portare a qualcosa di totalmente differente, l’inizio di una nuova vita. Un mutamento da cui uscire trasformati, ma anche felici. Un’occasione per vedere il mondo con occhi diversi, ma attento, il pericolo è in agguato, più vicino di quanto tu possa pensare. Solo se sarai forte saprai rinascere dalle ceneri come la Fenice e sfruttare questa 
trasformazione. Spetta a te guardarti da qualcuno che ti vuole male e cambiare il tuo destino. Devi credere nel filo rosso, solamente se coglierai l’attimo riuscirai a unire i due capi di quel filo. Alcune possibilità passano una sola volta nella vita e riconoscerai qual è quella da afferrare solo affidandoti al cuore. Lui non sbaglia...”


Attendo Isabella, nell’aria ancora il profumo della zingara. Penso che nulla avvenga per caso; il caso non esiste, tutto è ciò che deve essere e ogni cosa modifica il corso dei fatti, a volte portando nuovi elementi nelle storie in cui ci sentiamo coinvolti, fino ad arrivare a inaspettati colpi di scena.

“Ho chiesto a un amico che lavora per quel giornale. L’uomo che cerchi si chiama Adelfo Pavan.” mi racconta Isabella, quando ci sediamo ai tavolini di una delle osterie che animano il campo.

“Ti ha detto dove posso trovarlo?”

“Allora stava a Dorsoduro, aveva una bottega da falegname; ora sembra sparito, era già anziano, forse non è neppure più vivo.”

“Voglio provare a rintracciarlo; devo andare a fondo. Sono convinto sia un altro tassello che il destino ha voluto mettere sulla mia strada per giungere alla verità.”

“Ne sono convinta anch’io, niente succede casualmente e tutto ha un perché. Bisognerebbe sentire qualche vecchio abitante di quel sestriere.”

“Forse qualcuno che ci può dare una mano c’è. Quel ragazzino, Bejamin, è di Dorsoduro. Da quando è stato ucciso suo fratello, nel sestriere lo hanno adottato un po’ tutti e di sicuro conosce parecchie persone.”

“L’hai visto di nuovo?”

“È spesso in giro per raggranellare qualche mancia; me lo trovo davanti di tanto in tanto, credo mi si sia affezionato.”

La città dei mille riflessi
“Mi sembra che anche tu ti stia affezionando a lui.”

“Sa farsi voler bene. A Dorsoduro lo conoscono tutti e ogni volta che può aver bisogno c’è sempre qualcuno pronto ad aiutarlo in qualche modo. Vive con uno zio, ma forse sarebbe stato meglio se lo avessero portato a Santa Maria della Pietà, piuttosto che essere affidato a un alcolizzato che non perde occasione per maltrattarlo, più di una volta l’ho visto con dei lividi. È in gamba, più maturo della sua età e poi mi ricorda…”


“Ti ricorda?”

“Nulla.” le rispondo, arrotolandomi una sigaretta.

“Sai,” mi spiega Isabella “per il mio giornale avevo seguito il caso di suo fratello. Brutta fine. Te ne hanno parlato?”

“Mi ha raccontato qualcosa Bertol.”

“Suo fratello era considerato il Robin Hood di Dorsoduro; Geronimo, lo chiamavano, per via dei suoi lunghi capelli corvini e per gli zigomi alti, che lo facevano assomigliare a un indiano d’America. L’hanno ucciso con una coltellata a pochi passi da uno dei suoi nascondigli. Si è parlato per la sua morte di una vera e propria esecuzione, forse per via dei nemici che si era fatto. Nessuno avrebbe mai pensato che un giorno potesse finire così. A Dorsoduro è subito diventato leggenda, non tanto per le sue fantasiose rapine, quanto per l’immagine di fuorilegge buono e generoso; non aveva mai sparato un colpo e gran parte del frutto dei suoi furti lo distribuiva alle famiglie povere del suo sestriere, per lui non teneva quasi nulla. Sicuramente è per questo che Bejamin gode di tanta solidarietà, è certamente una forma di gratitudine nei confronti del fratello.”

“Un bandito d’altri tempi.” commento, proprio quando un vociare crescente inizia a coprire le nostre parole.


Il corteo dei lavoratori
dello Stucky

Discendendo il Ponte Ruga Bella, decine di uomini e donne avanzano preceduti dai loro striscioni. Si arrestano nel campo; ancora i lavoratori del Mendel, ancora nell’aria le voci della solidarietà veneziana. Accanto agli operai una grande massa di studenti, di gente qualunque, di ragazzi e ragazze, mentre da gracchianti megafoni si lanciano slogan contro una possibile chiusura. Non sembra la protesta del Mendel, sembra la protesta di un’intera città, forse un ultimo grido di battaglia di un’epoca destinata a finire. Mi ritornano alla mente le parole di Bejamin: “Perché non fai qualcosa per salvare quei poveretti?”. Mi accendo un’altra sigaretta.


“Ancora qui, architetto?” qualcuno mi domanda.

Mi volto, l’uomo che ho sempre visto col camice bianco è di nuovo riapparso.

“Proprio non l’ha voluto seguire il mio consiglio.” mi dice con aria di disapprovazione “C’è stato un nuovo incontro con la direzione del Mulino,” aggiunge “ma purtroppo le trattative si sono arenate un’altra volta.”

“Lo immaginavo che sarebbe finita così, in questo momento non hanno elementi da poter offrire, se non promesse che con molta probabilità non potranno essere mantenute.”

“Sì, è come dice lei. Intanto quegli operai si stanno comportando in modo veramente eroico, non è certo da tutti.”

Ca' Dario
“Ho già vissuto episodi come questo.” gli rispondo “È cosa che capita quando è in gioco la sopravvivenza.”

“Da quando è stata proclamata l’occupazione, è in ballo anche la solidarietà di una intera città. All’ingresso del Mulino sono stati affissi molti cartelli di protesta e i picchetti degli operai impediscono l’ingresso, ma questo non vale per il sostegno dei concittadini. Dovrebbe vedere quante donne portano da mangiare e da bere, in modo che la mensa possa continuare a funzionare per gli occupanti. Vengono persino i barbieri giudecchini a tagliare gratuitamente barba e capelli. La produzione in realtà non è stata fermata e va avanti per quel che è possibile fare. I dipendenti del Mendel non vogliono che il loro gesto possa mettere in difficoltà il Mulino più di quanto non lo sia già. Si stanno autogestendo e, creda a me, lo stanno facendo nel migliore dei modi.”

 

“Non sapevo conoscessi il dottor Savorgnan.” osserva Isabella, poco dopo.

“Credevo che quell’uomo fosse un infermiere. Non conoscevo il suo nome. È quello che mi ha soccorso quando ho avuto l’incidente al Mulino.”

“Macché infermiere. Era il medico personale di Carlo Alberto Mendel. Toccò proprio a lui eseguire l’autopsia. Secondo il suo referto, il colpo mortale sarebbe stato sparato da una certa distanza e non quasi a bruciapelo, come hanno sostenuto i testimoni, ma, su richiesta della parte civile, nuovi accertamenti stabilirono che il foro di entrata del proiettile era tale da non poter affermare con certezza se fosse stato esploso da vicino o da breve distanza. La verità è rimasta un mistero.

1 commento:

  1. Come sempre, nei libri di Giancarlo Bosini oltre a divertirsi e a palpitare per delitti e misfatti, ci si trova a fare viaggi inaspettati nel tempo e nello spazio e non di rado - almeno per me è stato così - si corre il serio rischio d'imparare qualcosa. Un libro che mi è piaciuto molto e che sono certo piacerà anche ai meno apopassionati di gialli. Lettura consigliata.

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