testo di Don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione LIBERA
<< L’integrazione è la vera scommessa del nostro tempo. Un tempo di diritti negati e disuguaglianze,
I loro volti e
culture hanno cambiato la fisionomia delle nostre città, i nostri paesaggi
quotidiani, e ci chiamano a misurarci con una diversità che può disorientare e
intimorire. Una paura istintiva, legittima, che spesso però viene alimentata ad
arte per indirizzare il consenso.
Così si rafforzano i pregiudizi, le etichette, si creano
norme che rischiano di legittimare un’idea della sicurezza sganciata
dall’orbita del diritto, trasformata in autodifesa del cittadino.
Allora è proprio l’integrazione la chiave per uscire da
questo vicolo cieco. Il futuro, del resto, ci chiede di andargli incontro, non
di attenderlo arroccati nella paura. Ci chiede di accoglierlo inventandoci
forme di convivenza nuove, che non si limitino a una coesistenza precaria e
forzata, ma si fondino sulla sintesi tra diversità che segna da sempre il
cammino della vita.
La vita è diversità che si afferma e rinnova attraverso lo
scambio, l’incontro, la contaminazione. Le grandi culture nascono sempre
dall’intreccio di relazioni, sono un “noi” dentro il quale le identità più
diverse hanno trovato collocazione, dignità, riconoscimento. Integrandosi,
appunto. E’ un cammino certo faticoso.
L’integrazione incontra da sempre resistenze, va
accompagnata passo per passo, con la giusta gradualità, sostenuta da
un’informazione equilibrata.
E’ il compito della politica preparare il terreno. La
politica, quando è davvero servizio alla comunità, è questo saper trasformare
le paure in speranze, indicare orizzonti che sul momento possono risultare
lontani, estranei, ma se accompagnati da testimonianze credibili, parole e atti
coerenti, restituiscono il senso di una ricerca finalizzata davvero al bene
comune.
Anche la politica più lungimirante e coraggiosa però, quella
capace di governare senza badare unicamente al consenso e agli indici di
gradimento, da sola può fare molto poco. Deve poter contare sul sostegno vigile
dei cittadini, sulla loro coscienza critica, sulla partecipazione attiva e
responsabile di ognuno.
Una partecipazione che è insieme nostro diritto e dovere,
prevista da quell’articolo quarto della Costituzione che dice: compito di un
cittadino è concorrere con i propri mezzi alla realizzazione
del bene comune.
Oggi questo patto tra cittadini e istituzioni è in crisi. Da
un lato abbiamo una politica lontana dalle persone, invischiata nei giochi di
potere, in interessi privati e affari non sempre leciti. Dall’altro un corpo
sociale frammentato, cittadini rassegnati o indifferenti, condizionati da
un’informazione troppo spesso manipolata e asservita proprio a quei poteri cui
dovrebbe fare da contrappeso critico.
A restare schiacciati nel mezzo sono i più deboli, i meno
garantiti, gli ultimi della fila. Ecco perché l’integrazione è la sfida del
nostro tempo. Una sfida che chiama in causa la politica, l’economia,
l’educazione, la cultura. In una parola, la nostra umanità.
Però siamo ancora in tempo, insieme possiamo ancora
scegliere di cambiare strada. Senza scordarci che l’integrazione, per essere
davvero porta al futuro, non deve guardare solo alle persone migranti.
Dev’essere anche integrazione dei deboli, degli emarginati, degli ex detenuti,
delle persone che sono materialmente povere come di quelle che sono povere
“dentro”, segnate da fragilità esistenziali, incapaci di trovare un senso alla
propria vita. Solo così essa è la chiave per costruire un mondo più umano e più
giusto.
Un mondo dove la legalità e la prossimità, le regole e
l’accoglienza non siano dimensioni alternative ma complementari, facce di una
medesima medaglia chiamata democrazia. >>
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