di Tiziana Viganò
Così vicini alla festa della donna possiamo fermarci a riflettere sul
dualismo che tuttora esiste nella società tra il modello classico di donna
madre e sposa che suscita apprezzamento e altri modelli di donna libera, che
deve scontare sulla propria pelle un retaggio culturale antichissimo: il
valore,il coraggio, il potere, la forza, la libertà femminile fanno ancora
paura, oggi come migliaia di anni fa.
Ripercorrendo la strada che da miti antichissimi conduce fino a noi
ripensiamo a come siamo frutto di una cultura e di una società che ha
profondamente compresso la natura femminile, assoggettandola a modelli, regole
e condizionamenti sempre dominanti, che continuano a manifestarsi in modalità
che apparentemente la nostra società “civilizzata” respinge: se la violenza
uccide ogni anno in Italia ben oltre cento donne per femminicidio, la violenza
psicologica quotidiana dilaga e rimane per lo più sconosciuta.
Cambiare la cultura è difficile, ma prendere consapevolezza è un
obbligo: tutti ormai ne sono certi, a cominciare dalle Istituzioni, e bisogna
lavorare in questa direzione.
Particolare del fregio con Amazzonomachia (sec. IV a.C.) dal mausoleo di Alicarnasso. Londra, British Museum |
Psicanalisi, etologia e
antropologia descrivono il concetto di
aggressione come “principio vitale” perché ha il significato positivo di “andare verso” (dal latino ad-gredire): è quindi ciò che ci fa riconoscere,
affermare e proteggere la nostra identità e il nostro territorio e raggiungere i nostri obiettivi.
Aggressione e aggressività, che
ovviamente valgono per maschi e femmine, dovrebbero essere intesi quindi come autodifesa, mentre comunemente
indicano un comportamento che è incapace
di riconoscere l’altrui territorio. Questo si connota in termini negativi e
viene agito in modi distruttivi, con la rimozione e la repressione oppure con
l’aggressività intesa come violenza.
In questo momento il disagio e la
sofferenza non sono più appannaggio del solo mondo femminile: l’aggressività
non agita in positivo e frustrata sta colpendo anche gli uomini con conseguenze
estremamente negative, ma in questo
contesto ci occuperemo solo del mondo femminile.
Caratteristico delle donne, attraverso i secoli, è un deficit
aggressivo, causato dalla frustrazione, socialmente indotto da una cultura
che ha modificato il comportamento femminile per piegarlo ai propri scopi: è
sociale il problema di una “aggressività” femminile che per liberarsi ha
bisogno di eliminare il condizionamento collettivo che ha prodotto nelle donne la carenza di strutture difensive
psicologiche, con problemi e patologie
conseguenti.
Multiformi e a volte contraddittorie manifestazioni denunciano il
disagio: autopunizione, masochismo, disturbi della sessualità, vittimismo,
iperattivismo, frenesia del fare, frustrazione di non riuscire a realizzare quello che si
vorrebbe, tensione, ansia, impazienza, attacchi di collera, ipertrofia del
senso materno, ansia di controllo, spirito di sacrificio, desiderio di rivalsa,
con spostamento delle proprie ambizioni su marito e figli maschi, volontà di
potenza che può portare all’annientamento, cattiva opinione di sé, con
espressioni psicosomatiche ma anche con distruzione di rapporti affettivi, di
iniziative, di attività…
Tutte queste manifestazioni
nascono dall’incapacità di portare
avanti il proprio progetto di vita e realizzare i propri desideri oppure
dall’incapacità di difendersi dalla violenza prendendosi cura di sé.
“Esiste un giardino per ognuno di noi che ci viene consegnato quando
veniamo al mondo….Il compito principale di tutta la nostra esistenza è di farlo
fiorire, di farlo essere al suo meglio. Ognuno di noi farà quello che può
mediando fra la natura del suo giardino
e le sue aspirazioni… Per coltivare un terreno bisogna saperlo difendere,
recintarlo, sistemare il cancello, regolamentare le visite, escludere gli
importuni, i perdigiorno e i violenti; è questo un diritto-dovere in assenza
del quale nessuna coltivazione darà frutti”. (M.Valcarenghi).
Fin dall’antichità i miti raccontano la trasformazione del rapporto
uomo-donna che porterà alla rimozione dell’istinto aggressivo femminile:
donne-dee sumere, greche, ebraiche come Inanna e Lilith, Meti ed Eva sono state al fianco dell’uomo
fintanto che gli sono servite a conquistare il potere, poi sono state
abbandonate e dimenticate. Eva è stata caricata in più dal peccato e dalla
colpa per la sua energia aggressiva (il
desiderio) e trasgressiva (la disubbidienza) tanto che ogni donna sente ancora
su se stessa questo peso culturale quando si parla ancora oggi del “sesso
debole” e dell’inferiorità femminile oppure quando si sente colpevole di essere diversa da quello che gli altri vogliono
che sia.
I popoli hanno espresso le
proprie dee guerriere, pericolose e terribili. Per limitarci solo alle culture
mediterranee Sekhmet, egizia, Atena e le Amazzoni, greche, Bellona, romana.
Baccanti e prostitute, vergini e
vestali, guaritrici e streghe le donne sono state vittime di violenze inaudite
e sterminate.
Nell’Europa cristiana, tanti
secoli dopo, durante il Romanticismo, il modello femminile imperante era una
donna fragile e docile, moglie e madre, con un’ indole da vittima e un ruolo
sociale subordinato all’uomo e in funzione dei suoi bisogni, come tanti
personaggi di opere letterarie e di melodrammi ci hanno tramandato. La
repressione aveva raggiunto i suoi scopi.
Il mito delle Amazzoni permette di chiarire la nascita di alcuni
pregiudizi contro il femminile.
Discendenti di antichissime
popolazioni pregreche a regime matriarcale probabilmente esistite, ma anche mitologiche
figlie di Ares, le Amazzoni erano donne
abili nella guerra e nella gestione delle loro comunità, fondatrici di città
(Cuma, Mitilene, Smirne, Caulonia, Efeso), abitanti dapprima nell’attuale
territorio a nord della Turchia, sulle rive del Mar Nero e poi spostatesi a est
del fiume Don, nella Scizia. Vivevano appartate in società, regolate da due
regine, una per la guerra e una per il governo del popolo, non si sposavano, ma
facevano una volta all’anno spedizioni in un paese vicino, si accoppiavano e
poi tornavano nelle loro terre, i figli maschi partoriti e gli schiavi maschi
erano sottomessi, praticavano la caccia e la guerra, a cavallo, armate di arco,
ascia e scudo.
Le Amazzoni ricorrono nei miti
greci più antichi fin dai poemi omerici e costituiscono uno dei temi prediletti
delle arti figurative fin dal sec. VI a. C.
Nell’Iliade (sec. VIII a.C.) si
riporta la loro valorosa partecipazione a fianco di Priamo nella guerra di
Troia nel ruolo di guerrieri “pari agli
uomini”. La regina Pentesilea,
durante un combattimento, fu uccisa da Achille: nell’atto di immergere la spada
nel suo collo l’eroe se ne innamorò perdutamente, invano. Un altro mito
racconta della spedizione di Eracle nella Scizia per impadronirsi della cintura
della regina Ippolita, la “nona
fatica”. Da ultimo, siamo nel periodo posteriore alle guerre persiane (sec. V
a.C.), le Amazzoni invasero l'Attica per vendicare la spedizione fatta da Teseo
per catturare Ippolita: descritte ora come “ostili
agli uomini”, simbolo della trasgressione dal ruolo assegnato dai greci
alle donne, dovranno essere sterminate. Da qui le numerose Amazzonomachie raffigurate sui vasi a figure rosse e nere e meravigliosamente
scolpite nel marmo, capolavori che denunciano però la volontà di fare strage di
ciò che è diverso da quello che la cultura dominante impone come esempio e
regola.
Il modello della donna moglie,
madre, vergine, regina della casa, incapace di impugnare armi, si stabilizza: quando
i greci cominciano la loro conquista dei territori a oriente, la parola
Amazzone assume un significato dispregiativo che anticamente, ai tempi di
Omero, non aveva. Diventa simbolo di barbarie, violenza, di forza incontrollabile,
di inciviltà.
Il mito si è trasferito nella
società; il modello patriarcale si impone a scapito della espressione della
libertà femminile.
“O Zeus, perché dunque hai messo tra gli uomini un ambiguo malanno,
portando le donne alla luce del sole?”(Euripide)
Nonostante le grandi
trasformazioni e la consapevolezza, le donne continuano a comportarsi oggi
secondo modelli culturali antichi così radicati da essere difficilmente
cambiati se non con un percorso di coscienza
che è ancora ben lontano nel tempo a venire.
Le condizioni di vita nel mondo occidentale hanno portato nel tempo a una crisi del sistema patriarcale che mette in difficoltà prima di tutto gli uomini, impreparati alle nuove istanze che vengono dalle donne: la paura del cambiamenti e l’insicurezza generano un’aggressività pericolosa e inadeguata, il disequilibrio tra i sessi genera sofferenza.
Le condizioni di vita nel mondo occidentale hanno portato nel tempo a una crisi del sistema patriarcale che mette in difficoltà prima di tutto gli uomini, impreparati alle nuove istanze che vengono dalle donne: la paura del cambiamenti e l’insicurezza generano un’aggressività pericolosa e inadeguata, il disequilibrio tra i sessi genera sofferenza.
Negli ultimi quarant’anni è
avvenuta pian piano una metamorfosi nelle donne nel senso dell’autonomia e
dell’autodeterminazione; ma il cammino verso una conciliazione tra maternità e
famiglia, attitudini, capacità di affermazione nel lavoro e nella società è
ancora lungo e non facile, anche se molte donne hanno potuto raggiungere quello
che desideravano, spesso a caro prezzo.
Una condizione di debolezza
spinge a cercare conferme negli altri, a non fidarsi di se stesse, a
svalutarsi, si è tradite da eccessi di emotività o attacchi di panico, si
desidera essere protette e si ha paura di non essere all’altezza della
situazione, si è sopraffatte da pigrizia, solitudine, mancanza di desideri.
Questo ha creato negli uomini una grande paura, paura di essere
superati, paura di perdere il loro potere patriarcale: così, gli individui
incapaci di controllare la propria aggressività agiscono violenza alle donne
fino al femminicidio per rivendicare il diritto di proprietà, per far pagare
alla donna che ha alzato la testa i diritti che si è conquistata malgrado lui –
perché non è l’uomo che li ha concessi, ma la donna che ha espugnato le mura
del privilegio maschile con una guerra silenziosa ma tenace.
Le donne che cercano di inserirsi
nella realtà cercando di assomigliare agli uomini rafforzano un’idea
artificiosa di sé invece di fare una netta distinzione tra maschio e femmina,
ognuno con le sue caratteristiche ben distinte. La società, nonostante le
dichiarazioni di intenti, fatica ancora a riconoscere le donne come pari e diverse, mentre l’obiettivo auspicabile è una sempre maggiore integrazione di ambiti e
competenze per creare nuove e migliori condizioni di vita, dove una donna possa
realizzare il desiderio di vivere in prima persona passioni, desideri,
attitudini invece di vivere in funzione degli altri o secondo il desiderio
degli altri.
interessante review del ruolo femminile nella storia con un'analisi psicologica agile per il lettore ma ben circostanziata.
RispondiEliminaAnnalisa Petrella