LA SINDROME DEL BURN OUT
di Tiziana Viganò
Il
termine “bruciato” si riferisce allo stato d’animo di chi sente di avere dato
molto ed è svuotato, demotivato, frustrato, inaridito, come in un deserto
emozionale e relazionale. Spesso si tratta di persone che lavorano nelle relazioni
d’aiuto, si prendono cura degli altri, medici, psicologi che sono
quotidianamente faccia a faccia con la sofferenza e i problemi, ma recenti
studi hanno rilevato che la percentuale maggiore si verifica tra gli
insegnanti.
I risultati degli studi condotti dalla ASL, INPDAP e Fondazione IARD di Milano (Studio
Getsemani, 1992/2001) dimostrano che la categoria degli insegnanti è soggetta a
una frequenza di patologie psicologiche e psichiatriche pari a due volte quella
della categoria degli impiegati, due volte e mezzo quella del personale
sanitario e tre volte quella degli operatori.
Purtroppo nel corso degli anni, soprattutto in
relazione a nuovi scenari psicosociali portati dalla crisi economica dopo il
2008, gli individui a rischio sono aumentati in molte altre categorie e questo
ha influito anche sull’aumento del numero di fatti di sangue che tutti hanno
seguito nella cronaca nera: grandissimo il numero dei soggetti coinvolti in
problematiche psicologiche che non sono censite perché il dolore viene nascosto
e vissuto in solitudine.
La sindrome del burnout, quando trascurata, può
costituire una fase prodromica della patologia psichiatrica . Con questi dati
si può ben ritenere un problema di
grande portata sociale, culturale, economica, istituzionale e medico-sanitaria.
Anche se lo stress è diventato un ingrediente fisso
della nostra vita quotidiana tanto in ambito domestico-familiare quanto sul
luogo di lavoro, una o più condizioni stressogene, se particolarmente
intense o protratte nel tempo, possono indurre la sindrome del burnout .
Sin dalla prima metà degli anni ‘80 il burnout ,
soprattutto negli insegnanti, è stato oggetto di particolare attenzione da
parte di molti autori internazionali ed è stato in seguito riconosciuta come
risultante di questi elementi principali
v affaticamento
fisico- con somatizzazioni quali emicrania, sudorazioni,
insonnia, disturbi gastrointestinali, parestesie etc.- ed emotivo - particolari stati d’animo quali ansia, irritabilità,
esaurimento fisico, panico, agitazione, senso di colpa, negativismo, ridotta
autostima…..
v atteggiamento
distaccato e apatico nei confronti di studenti, colleghi e nei rapporti
interpersonali. Reazioni comportamentali come assenze o ritardi frequenti sul posto di
lavoro, chiusura difensiva al dialogo, distacco emotivo dall’interlocutore,
ridotta empatie e capacità di ascolto, ridotta creatività, ricorso a
comportamenti ossessivi.
v sentimento di
frustrazione dovuto alla mancata realizzazione delle proprie aspettative
v
perdita
della capacità di controllo –
l’individuo si lascia andare a reazioni impulsive e violente, smarrisce il
senso critico che consente di attribuire all’esperienza lavorativa la giusta
importanza nella vita, abusa di sostanze come alcool, fumo, droga, farmaci.
Sono stati individuati oramai almeno 40 fattori che
determinano il burnout negli insegnanti. Gli stessi sono riconducibili a tre
categorie principali
v fattori
sociali e personali del soggetto: comprendono le caratteristiche individuali
(personalità, sesso, età, tolleranza, aspettative professionali,
suscettibilità, stile cognitivo, background culturale, razza, religione,
tempra, tenacia, arrendevolezza, resistenza, livello socio-economico, stile di
vita, situazione familiare, eventi luttuosi etc.)
v fattori
relazionali:
relativi ai rapporti interpersonali con studenti e loro familiari, direzione
scolastica, competitività coi colleghi, affollamento delle classi
v fattori
oggettivi organizzativi (o professionali) : riguardano l’organizzazione scolastica e le condizioni di lavoro
(riforme scolastiche, precariato, ubicazione della scuola in zona urbana o
rurale, carico di lavoro, risorse didattiche, attrezzature, programma da
svolgere, organizzazione degli orari di lezione, obiettivi, chiarezza dei
regolamenti, flussi di comunicazione interna, frequenza delle riunioni,
percorso di carriera, report/feedback inefficaci etc.).
v fattori socio-culturali :
l’avvento dell’era informatica e di una società multiculturale e multietnica,
la delega dei genitori all’educazione dei figli, l’inserimento dei portatori di
handicap nelle classi, la maggior intransigenza dell’utenza, l’introduzione
della valutazione dei docenti da parte di genitori e studenti, la svalutazione
sociale del lavoro in se stesso a favore del successo e del guadagno economico
(notoriamente bassi per gli insegnanti), l’abolizione delle cosiddette
baby-pensioni.
Si sono analizzate le reazioni di adattamento (coping strategies) che i
singoli insegnanti adottano per far fronte alla sindrome del burnout, nel
tentativo di reagire a una situazione che, se non affrontata per tempo e
adeguatamente, può degenerare in malattia psico-fisica.
Secondo alcuni autori sono più esposte al burnout le persone che
possiedono una ridotta resistenza individuale agli stimoli (denominata hardiness dagli anglosassoni), che
consente di reagire alle sollecitazioni con tenacia e senza soccombervi.
La personalità “hardy” invece possiede tre caratteristiche:
v è consapevole del proprio
ruolo nella società e del significato attribuito alla propria esistenza: ciò
serve a relativizzare e ridimensionare le esperienze di vita
v percepisce le novità come
stimolo anziché come insidia
v sente di poter controllare
gli eventi senza esserne sopraffatto
Tra le reazioni di
adattamento ci sono quelle
v dirette , miranti cioè ad
affrontare positivamente la situazione
v diversive, cioè tese a schivare
l’evento assumendo un atteggiamento apatico, impersonale, distaccato nei
confronti di terzi
v di fuga o abbandono dell’attività,
per sottrarsi alla situazione stressogena
v palliative cioè incentrate sul
ricorso a sostanze come caffè, fumo, alcool, farmaci.
C’è una correlazione diretta tra personalità con
forte impegno competitivo, alto livello di aspirazione, impulsività, sentimenti
di impazienza, fretta e mancanza di tempo e incidenza e differenziazione del
burnout in tre sottotipi:
v burnout
classico o frenetico quando il soggetto di fronte allo stress reagisce aumentando a
dismisura la propria attività lavorativa fino all’esaurimento psicofisico;
v burnout da
sottostimolazione dovuto alla insoddisfazione per la ripetitività e monotonia del lavoro
che non è più ritenuto dall’individuo all’altezza di offrire stimoli e
motivazioni sufficienti. Si tratta quindi di insegnanti più annoiati e
demotivati che stressati nel vero senso del termine;
v burnout da scarsa gratificazione dovuto a un lavoro ritenuto troppo stressante
rispetto al riconoscimento che lo stesso comporta. La differenza col burnout
classico risiede nella reazione dell’individuo che riduce il proprio ritmo
lavorativo col preciso fine di prevenire il sopraggiungere dell’esaurimento.
Lo
studio auspica un intervento socio-istituzionale sull’organizzazione e
sull’ambiente di lavoro e un progetto
terapeutico sull’insegnante che vada rigorosamente personalizzato e debba
prevedere sia un intervento psicoterapeutico, differenziato a seconda del tipo
di burnout, che un intervento di counseling.
I
risultati sino a oggi ottenuti in diversi paesi sugli insegnanti e in altre professioni d’aiuto portano a
concludere che il burnout, a differenza dello stress che riguarda la
sfera individuale, è un fenomeno
psicosociale di portata
internazionale, una sindrome complessa e multidimensionale, per la quale sono
stati identificati fattori di rischio personali, relazionali e ambientali sui
quali intervenire.
Le principali cause di stress
in un contesto lavorativo sono date dall’eccesso o dall’assenza di
responsabilità, dal senso di incertezza nei confronti del futuro, dalla
scarsità di informazioni funzionali all’azione, come pure dall’incapacità
dell’individuo di agire e controllare l’ambiente in cui opera. La possibilità,
quindi, di intervenire sul contesto professionale, al fine di modificarlo e
renderlo meno stressogeno e ansiogeno, diventa una questione chiave per il
soggetto che vi opera. Non ultimo, il fattore del riconoscimento delle proprie
capacità ed attitudini professionali come indicatore di successo ed
autorealizzazione professionale, costituisce elemento essenziale per lo
stabilizzarsi dell’equilibrio psico-fisico.
In
riferimento alla professione dell’insegnante, è importante sottolineare come le
contraddizioni e le rigidità insite nel sistema di cui è parte sono causa di disagio, e i conflitti
di ruolo che ne conseguono sono al centro del dibattito sullo stato di salute
psico-fisica della categoria dei docenti in Italia.
I numerosi cambiamenti che
investono il sistema istruzione, e la popolazione studentesca che di esso fa
parte pongono l’insegnante di fronte
alla possibilità di sperimentare in continuazione l’esperienza del successo o
dell’inefficacia del proprio intervento educativo e nella gestione dei rapporti
interpersonali: il fallimento rappresenta, dunque, una costante minaccia alla
percezione del Sé e del sentimento di autostima personale e sociale, e rivela
pericolosi meccanismi di difesa con attribuzione esterna delle cause di
insuccesso, processi di razionalizzazione, di fuga e situazioni di distress che incidono sulla
performance professionale e sull’equilibrio psicologico.
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