martedì 24 settembre 2013

VIOLENZA E FEMMINICIDIO: una cultura da cambiare (prima parte)

L'AMORE E' UN'ALTRA COSA
di Tiziana Viganò



Come un giacinto
che sui monti rudi pastori
calpestino a terra
bruci, tenero fiore
(Saffo, VII sec. a. C.)





“Nel 2006 in Europa 3413 persone sono morte in conseguenza della violenza domestica subita: di questi
·      1409 erano donne uccise dai partner o ex partner violenti (femminicidio),
·  1010 erano le donne che avevano scelto il suicidio a seguito della violenza domestica subita,
·        272 le donne che avevano ucciso i mariti violenti,
·     186 gli omicidi collaterali (padre che uccide i figli e la moglie, oppure
   persone accorse in soccorso e uccise per errore),
·   536 gli uomini che dopo aver ucciso la donna su cui avevano esercitato violenza si erano uccisi.
 Nel 2006 in Italia su 181 omicidi di donne 101 erano femminicidi,  nel 2010 su 151 omicidi di donne 127 erano femminicidi.
n Italia il 70% delle vittime di femminicidio era già nota per avere contattato le forze dell’ordine, ovvero per aver denunciato o per aver esposto la propria situazione ai servizi sociali: le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femminicidi, sette sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità.
Cioè l’uccisione della donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico o fisico.” (stralcio da un articolo di Barbara Spinelli) 

 
Leggendo queste e altre statistiche riguardanti il femminicidio e la violenza di genere è necessario fare riflessioni di carattere sociale e politico, psicologico e pedagogico con l’obiettivo di costruire strategie di lotta alla violenza di genere.
Una lotta che parte dalla domanda che ognuno di noi, maschi e femmine dobbiamo porci: da dove parte la spinta alla violenza? Perché è dall’analisi delle cause che possiamo più efficacemente agire contro questo fenomeno, che sembra essere sempre più diffuso, vuoi perché molte più donne hanno il coraggio di sporgere denuncia, sia perché i media pongono l’attenzione sui fatti che accadono quasi ogni giorno.
La lotta comincia sradicando una base culturale che è introiettata in ciascuno di noi fin dall’infanzia. E’ l’idea che la donna è inferiore all’uomo, che non ha diritto all’autonomia e all’autodeterminazione, che dipende dall’uomo che ne è padrone.
Molti di noi pensano di avere superato questa convinzione, ma non è così.
Una parola, una barzelletta, un gesto dicono che questi concetti sono ancora molto saldi, anche se a livello inconscio, perché la maggior parte delle persone, maschi e femmine, a livello conscio, razionale, affermano di essere contro la violenza e per la difesa della donna, ma poi nella realtà di tutti i giorni accettano comportamenti, parole e immagini che sono esattamente l’opposto. E non solo quest’idea è radicata nel profondo degli uomini, ma anche nelle stesse donne, che in questo modo si fanno inconsapevoli complici della cultura che le discrimina.
Faccio un esempio che mi è capitato di leggere pochi giorni fa su facebook, postato da una ragazza di 25 anni che diceva testualmente:
“Quanto mi fa incazzare sentire al tg la giornalista che parla dell'ennesimo caso di "stupro" parlando della vittima come la "povera ragazzina diciassettenne che viene stuprata"...la piccola diciassettenne era conciata da zoccola con microgonna inesistente che mi fa domandare se i genitori vedono come escono le loro figlie ... era ubriaca persa secondo le testimonianze e l'hanno addirittura trovata in coma etilico...era già nuda poiché si era già imboscata con un altro e con chissà quanti altri si era strusciata intanto...ora non voglio giustificare lo schifo dello stupro...però non parlatemi di una povera piccola ragazzina perché mi fa proprio incazzare...le ragazze di oggi non si capisce che cosa hanno in testa… io sono dalla parte delle donne che non fanno vergognare di essere donne... non si può andare in coma etilico a 17 anni... non ci si può comportare in tal modo e pretendere l'appellativo "bimba" quando bimba non lo si è...ti ripeto ..mi dispiace per lei ..molto ...mi infastidisce il modo in cui se ne parla...l'aureola di innocenza che le si vuole creare intorno. E quest'altra... professore che fa sesso con le allieve...ma non le ha prese con la forza...è un uomo di dubbia morale per tanti motivi ma le minorenni ci sono andate a letto per alzare un voto....ma ci rendiamo conto?”
No comment.
I dati dell’Istat dicono che più del 30% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale, nella maggior parte dei casi le violenze avvengono tra le mura domestiche e non vengono svelate; gli stupri sono più frequenti da parte di conoscenti che di sconosciuti. E’ nell’ambito di relazioni importanti per i soggetti che avvengono fatti di violenza: una falsa concezione dell’amore si mescola a paura, dolore, impotenza, senso di colpa, doverismo.
Molte, troppe donne vivono nelle periferie dell’esistenza.
Molte donne non hanno la forza o la capacità per mettere al primo posto nei valori della vita il rispetto di sé, per lottare contro chi lo viola.
L’approccio al problema della violenza di genere deve essere multidisciplinare, ma anche avere un obiettivo raggiungibile per molte vie.
La violenza è di chi la subisce, di chi la agisce, di chi la assiste.
Nessuno nasce vittima, ma può diventarlo dopo lunghi periodi in cui è sottoposta a manipolazione e condizionamento da parte di un soggetto verso cui prova un forte legame affettivo. Può essere tra un uomo e una donna adulta, ma anche tra padre e figlia o tra altri tipi di legame.
Si parte di solito da un rapporto apparentemente positivo: attraverso fasi in cui l’abusante si appropria della personalità della vittima, la convince della sua inferiorità, della sua dipendenza, la isola dal contesto sociale, piano piano il dominante comincia a controllare completamente la vita della vittima con aggressioni, privazioni, minacce, obblighi degradanti, perversioni, comportamenti incongruenti (per esempio amabilità alternata a maltrattamenti) in modo da diventare il centro di attenzione della sua mente e della sua vita. Privata dell’ autostima e della capacità di autodeterminarsi, la vittima perde autorevolezza e stima, se madre anche da parte dei figli: diventa passiva, incapace di reazione, impotente, completamente trasformata in un’altra persona .
Se questo è un processo di vittimizzazione grave, estremo, ci sono metodi molto meno eclatanti, che quasi non vengono notati nel contesto sociale, anzi, sembrano “normali” o non vengono neanche notati.
Si comincia con una parola denigrante, cretina, deficiente, oca, puttana…umiliando e convincendo la donna che da sola non ce la può fare; con scenate di gelosia assurde; con urla esagerate, gesti inconsulti;  la vittima diventa debole, depressa, malata perché retroflette contro di sé la rabbia, lo sconforto, l’impotenza in nome della stabilità della famiglia. Spesso non ha i mezzi economici per essere autonoma, perché i suoi stipendi sono  inferiori a quelli maschili, o non trova lavoro. Succede sempre perché in molte fasce della popolazione è culturalmente relegata al ruolo di moglie e madre, con il carico domestico e familiare. Perché è palese che persiste ancora nella società una percezione del femminile antiquata, ancora patriarcale, da cui ha origine la violenza: spesso sono le donne stesse ad alimentare questa immagine di donna sottomessa, che tutto sopporta per il bene della famiglia, che non si sente pronta ad affrontare il mondo senza il sostegno  di un maschio, che china la testa alla violenza psicologica quasi non fosse ancora diventata consapevole del pericolo che tale violenza sia spesso un preludio a fatti di sangue. O diventano “complici” perché si uniscono al coro denigratorio della società, come abbiamo visto nell’esempio citato all’inizio.

Bisogna lavorare contro il tenace pregiudizio secondo cui la moglie e madre ha il dovere e il “destino” di prendersi cura dei propri figli: trovare un equilibrio tra maternità, attitudini, capacità di affermazione nel lavoro e nella società: questo richiede un percorso educativo contro la cultura dominante ed è un obiettivo fondamentale che richiede l’appoggio di servizi erogati dallo Stato, come succede in molti paesi europei più avanzati del nostro nelle politiche per la donna e la famiglia.
Se da una parte ci sono donne affermate, socialmente, culturalmente ed economicamente, dall’altra c’è una massa che dipende e si sente dipendente dall’uomo. Ancora oggi la categoria di donne che raggiungono il potere e la partecipazione ai processi decisionali in alto loco deve subire discriminazione e lottare con tutte le forze per mantenere le posizioni raggiunte.
Riporto solo l’esempio clamoroso delle donne ministre nelle ultime due legislature dei governi Monti e Letta – dove si è arrivati all’insulto più volgare e alle minacce -….. e all’eliminazione del Ministero delle Pari Opportunità.
Il “tetto di cristallo” impedisce ancora oggi alle donne di arrivare e rimanere ai vertici del potere, e l’Italia sembra essere molto indietro rispetto ad altri Paesi del Mondo.
La metamorfosi femminile, cominciata quarant’anni fa e non ancora conclusa per gli ostacoli che la cultura e la società pongono ancora all’emancipazione e alla libertà della donna viene ancora  vissuta dagli uomini come una minaccia alla propria virilità, al proprio diritto al dominio e alla superiorità sulla donna.
Un processo di crescita e di autonomia può essere raggiunto solo attraverso un forte cambiamento culturale che coinvolga tutta la società, i mass media e le istituzioni, con un rafforzamento dell’immagine femminile positiva e non stereotipata, descritta nella sua realtà, nel suo ruolo e nel suo progresso.
Prima ancora del femminicidio bisogna considerare tutte le forme di discriminazione e violenza psicologica che annullano la personalità della donna in quanto tale e ne limitano la libertà sul piano fisico, psicologico, economico e sociale, quindi non solo in famiglia, ma anche sul posto di lavoro.
Chiediamoci quanto è difficile ricostruirsi una vita e una identità dopo esperienze distruttive come la violenza e la discriminazione. Il percorso deve essere sostenuto in sedi assolutamente specializzate e opportunamente addestrate perché dopo un lungo iter psicoterapico - dopo aver affrontato i traumi, elaborato lutto, separazione, perdita, recuperato autostima e  coscienza di sé, superato il senso di colpa….- è necessario che la donna sia aiutata a ricostruire se stessa, la propria vita materiale e nuovi legami affettivi ….un viaggio lungo, faticoso e doloroso.
                                                                        (1, CONTINUA)

Nessun commento:

Posta un commento