L'AMORE E' UN'ALTRA COSA |
Come un giacinto
che sui monti rudi pastori
che sui monti rudi pastori
calpestino a terra
bruci, tenero fiore
(Saffo, VII sec. a. C.)
“Nel 2006 in Europa
3413 persone sono morte in conseguenza della violenza domestica subita: di questi
· 1409 erano donne uccise dai partner
o ex partner violenti (femminicidio),
· 1010 erano le donne che avevano
scelto il suicidio a seguito della violenza domestica subita,
· 272 le donne che avevano ucciso i
mariti violenti,
· 186 gli omicidi collaterali (padre
che uccide i figli e la moglie, oppure
persone accorse in soccorso e uccise per errore),
persone accorse in soccorso e uccise per errore),
· 536 gli uomini che dopo aver ucciso
la donna su cui avevano esercitato violenza si erano uccisi.
n Italia il 70% delle
vittime di femminicidio era già nota per avere contattato le forze dell’ordine,
ovvero per aver denunciato o per aver esposto la propria situazione ai servizi
sociali: le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femminicidi, sette
sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità.
Cioè l’uccisione della
donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere
economico, psicologico o fisico.” (stralcio
da un articolo di Barbara Spinelli)
Leggendo
queste e altre statistiche riguardanti il femminicidio e la violenza di genere è
necessario fare riflessioni di carattere
sociale e politico, psicologico e pedagogico con l’obiettivo di costruire
strategie di lotta alla violenza di genere.
Una
lotta che parte dalla domanda che ognuno di noi, maschi e femmine dobbiamo
porci: da dove parte la spinta alla violenza? Perché è dall’analisi delle cause
che possiamo più efficacemente agire contro questo fenomeno, che sembra essere
sempre più diffuso, vuoi perché molte più donne hanno il coraggio di sporgere
denuncia, sia perché i media pongono l’attenzione sui fatti che accadono quasi
ogni giorno.
La
lotta comincia sradicando una base
culturale che è introiettata in ciascuno di noi fin dall’infanzia. E’ l’idea
che la donna è inferiore all’uomo, che non ha diritto all’autonomia e
all’autodeterminazione, che dipende dall’uomo che ne è padrone.
Molti
di noi pensano di avere superato questa convinzione, ma non è così.
Una
parola, una barzelletta, un gesto dicono che questi concetti sono ancora molto
saldi, anche se a livello inconscio, perché la maggior parte delle persone,
maschi e femmine, a livello conscio, razionale, affermano di essere contro la
violenza e per la difesa della donna, ma poi nella realtà di tutti i giorni
accettano comportamenti, parole e immagini che sono esattamente l’opposto.
E non solo quest’idea è
radicata nel profondo degli uomini, ma anche nelle stesse donne, che in questo
modo si fanno inconsapevoli complici della cultura che le discrimina.
Faccio
un esempio che mi è capitato di leggere pochi giorni fa su facebook, postato da
una ragazza di 25 anni che diceva testualmente:
“Quanto mi fa
incazzare sentire al tg la giornalista che parla dell'ennesimo caso di
"stupro" parlando della vittima come la "povera ragazzina diciassettenne
che viene stuprata"...la piccola diciassettenne era conciata da zoccola
con microgonna inesistente che mi fa domandare se i genitori vedono come escono
le loro figlie ... era ubriaca persa secondo le testimonianze e l'hanno
addirittura trovata in coma etilico...era già nuda poiché si era già imboscata
con un altro e con chissà quanti altri si era strusciata intanto...ora non
voglio giustificare lo schifo dello stupro...però non parlatemi di una povera
piccola ragazzina perché mi fa proprio incazzare...le ragazze di oggi non si
capisce che cosa hanno in testa… io sono dalla parte delle donne che non fanno
vergognare di essere donne... non si può andare in coma etilico a 17 anni...
non ci si può comportare in tal modo e pretendere l'appellativo "bimba"
quando bimba non lo si è...ti ripeto ..mi dispiace per lei ..molto ...mi
infastidisce il modo in cui se ne parla...l'aureola di innocenza che le si
vuole creare intorno. E quest'altra... professore che fa
sesso con le allieve...ma non le ha prese con la forza...è un uomo di dubbia morale
per tanti motivi ma le minorenni ci sono andate a letto per alzare un voto....ma
ci rendiamo conto?”
No
comment.
I
dati dell’Istat dicono che più del 30% delle donne italiane tra i 16 e i 70
anni ha subito violenza fisica e/o sessuale, nella maggior parte dei casi le
violenze avvengono tra le mura domestiche e non vengono svelate; gli stupri
sono più frequenti da parte di conoscenti che di sconosciuti. E’ nell’ambito di
relazioni importanti per i soggetti che avvengono fatti di violenza: una falsa
concezione dell’amore si mescola a paura, dolore, impotenza, senso di colpa,
doverismo.
Molte,
troppe donne vivono nelle periferie dell’esistenza.
Molte donne
non hanno la forza o la capacità per mettere al primo posto nei valori della
vita il rispetto di sé, per lottare contro chi lo viola.
L’approccio al problema della
violenza di genere deve essere multidisciplinare, ma anche avere un obiettivo
raggiungibile per molte vie.
La violenza è di chi la subisce, di
chi la agisce, di chi la assiste.
Nessuno nasce vittima, ma può diventarlo dopo lunghi
periodi in cui è sottoposta a manipolazione e condizionamento da parte di un
soggetto verso cui prova un forte legame affettivo. Può essere tra un uomo e
una donna adulta, ma anche tra padre e figlia o tra altri tipi di legame.
Si
parte di solito da un rapporto apparentemente
positivo: attraverso fasi in cui l’abusante si appropria della personalità
della vittima, la convince della sua inferiorità, della sua dipendenza, la
isola dal contesto sociale, piano piano il dominante comincia a controllare completamente
la vita della vittima con aggressioni, privazioni, minacce, obblighi
degradanti, perversioni, comportamenti incongruenti (per esempio amabilità
alternata a maltrattamenti) in modo da diventare il centro di attenzione della
sua mente e della sua vita. Privata dell’ autostima e della capacità di
autodeterminarsi, la vittima perde autorevolezza e stima, se madre anche da
parte dei figli: diventa passiva, incapace di reazione, impotente,
completamente trasformata in un’altra persona .
Se
questo è un processo di vittimizzazione
grave, estremo, ci sono metodi molto meno eclatanti, che quasi non vengono
notati nel contesto sociale, anzi, sembrano “normali” o non vengono neanche
notati.
Si
comincia con una parola denigrante, cretina, deficiente, oca, puttana…umiliando
e convincendo la donna che da sola non ce la può fare; con scenate di gelosia
assurde; con urla esagerate, gesti inconsulti; la
vittima diventa debole, depressa, malata perché retroflette contro di sé la
rabbia, lo sconforto, l’impotenza in nome della stabilità della famiglia. Spesso
non ha i mezzi economici per essere autonoma, perché i suoi stipendi sono inferiori a quelli maschili, o non trova
lavoro. Succede sempre perché in molte fasce della popolazione è culturalmente
relegata al ruolo di moglie e madre, con il carico domestico e familiare.
Perché è palese che persiste ancora nella società una percezione del femminile
antiquata, ancora patriarcale, da cui ha origine la violenza: spesso sono le
donne stesse ad alimentare questa immagine di donna sottomessa, che tutto
sopporta per il bene della famiglia, che non si sente pronta ad affrontare il
mondo senza il sostegno di un maschio,
che china la testa alla violenza psicologica quasi non fosse ancora diventata
consapevole del pericolo che tale violenza sia spesso un preludio a fatti di
sangue. O diventano “complici” perché si uniscono al coro denigratorio della
società, come abbiamo visto nell’esempio citato all’inizio.
Bisogna lavorare contro il tenace pregiudizio
secondo cui la moglie e madre ha il dovere e il “destino” di prendersi cura dei
propri figli: trovare un equilibrio tra maternità, attitudini, capacità di
affermazione nel lavoro e nella società: questo richiede un percorso educativo
contro la cultura dominante ed è un obiettivo fondamentale che richiede
l’appoggio di servizi erogati dallo Stato, come succede in molti paesi europei
più avanzati del nostro nelle politiche per la donna e la famiglia.
Se
da una parte ci sono donne affermate, socialmente, culturalmente ed
economicamente, dall’altra c’è una massa che dipende e si sente dipendente
dall’uomo. Ancora oggi la categoria di donne che raggiungono il potere e la
partecipazione ai processi decisionali in alto loco deve subire discriminazione
e lottare con tutte le forze per mantenere le posizioni raggiunte.
Riporto
solo l’esempio clamoroso delle donne ministre nelle ultime due legislature dei
governi Monti e Letta – dove si è arrivati all’insulto più volgare e alle
minacce -….. e all’eliminazione del Ministero delle Pari Opportunità.
Il
“tetto di cristallo” impedisce ancora oggi alle donne di arrivare e rimanere ai
vertici del potere, e l’Italia sembra essere molto indietro rispetto ad altri
Paesi del Mondo.
La metamorfosi femminile, cominciata
quarant’anni fa e non ancora conclusa per gli ostacoli che la cultura e la
società pongono ancora all’emancipazione e alla libertà della donna viene ancora
vissuta dagli uomini come una minaccia
alla propria virilità, al proprio diritto al dominio e alla superiorità sulla
donna.
Un
processo di crescita e di autonomia può essere raggiunto solo attraverso un
forte cambiamento culturale che coinvolga tutta la società, i mass media e le
istituzioni, con un rafforzamento dell’immagine femminile positiva e non
stereotipata, descritta nella sua realtà, nel suo ruolo e nel suo progresso.
Prima
ancora del femminicidio bisogna considerare tutte le forme di discriminazione e
violenza psicologica che annullano la personalità della donna in quanto tale e
ne limitano la libertà sul piano fisico, psicologico, economico e sociale,
quindi non solo in famiglia, ma anche sul posto di lavoro.
Chiediamoci
quanto è difficile ricostruirsi una vita e una identità dopo esperienze
distruttive come la violenza e la discriminazione. Il percorso deve essere
sostenuto in sedi assolutamente specializzate e opportunamente addestrate
perché dopo un lungo iter psicoterapico - dopo aver affrontato i traumi,
elaborato lutto, separazione, perdita, recuperato autostima e coscienza di sé, superato il senso di
colpa….- è necessario che la donna sia aiutata a ricostruire se stessa, la
propria vita materiale e nuovi legami affettivi ….un viaggio lungo, faticoso e
doloroso.
(1, CONTINUA)
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