recensione di Maria Antonietta Macciocu
Ogni viaggio all’inizio è un viaggio di nuvole.
Sia che lo si progetti per svago, o per riposo, o per lasciarsi alle spalle se stessi, o per diventare esperti di altri mondi e genti, lo si vagheggia col pensiero e con l’immaginazione, dandogli la valenza di cui si ha bisogno in quel momento della propria vita. Poi si tocca terra, e le cose possono cambiare. Possono, perché non sempre si è disposti a guardarsi davvero intorno e dentro, ad affrontare l’avventura a volte impervia, e comunque sempre impegnativa, dell’incontro con la diversità, a vedere con gli occhi dell’attenzione e delle emozioni oltre che con quelli del turista di apparenze e folklore.
Sia che lo si progetti per svago, o per riposo, o per lasciarsi alle spalle se stessi, o per diventare esperti di altri mondi e genti, lo si vagheggia col pensiero e con l’immaginazione, dandogli la valenza di cui si ha bisogno in quel momento della propria vita. Poi si tocca terra, e le cose possono cambiare. Possono, perché non sempre si è disposti a guardarsi davvero intorno e dentro, ad affrontare l’avventura a volte impervia, e comunque sempre impegnativa, dell’incontro con la diversità, a vedere con gli occhi dell’attenzione e delle emozioni oltre che con quelli del turista di apparenze e folklore.
Tiziana Viganò, autrice di "Viaggi di nuvole e terra", è viaggiatrice a 360 gradi. Parte portandosi dietro il bagaglio e la lusinga dei privilegi occidentali, l’abitudine alle comodità e al buon cibo, la cura dell’igiene, il piacere della bellezza, ma non se ne lascia condizionare, non permette che diventino barriera tra sé e l’altro, pronta a disfarsene o ad utilizzarlo come metro di paragone con le ingiustizie e le disuguaglianze del mondo.
Seguiamola in questo percorso che, ancora prima di essere concreto è metaforico, è svelamento di vita che noi occidentali ci siamo abituati ad attraversare con fretta fisica e mentale, rimuovendo velocemente ignoto, sofferenza e morte. Costretti ad abitare la lentezza di certi popoli, possiamo accogliere e rielaborare di tappa in tappa realtà tanto diverse quanto sconvolgenti.
Prima tappa : siamo in Sud Sudan, terra ricca di petrolio e di acqua, che da sempre attira gli appetiti di altri paesi, regalando alla popolazione una pace precaria. Nel villaggio di cui si parla, tra caldo inimmaginabile e notti di stelle che quasi le tocchi, i dinka vivono una vita sospesa tra passato e presente, rassegnati alle capanne, agli spostamenti, alla miseria, alla fatica, alle malattie, agli scontri tribali, alla diseguaglianza le donne e alla deprivazione i bambini. Scarse l’istruzione e le competenze nei mestieri. Ma nessuna buona intenzione, nessun intervento dall’alto potranno imporsi su secoli di tradizione, la modernizzazione non può che passare attraverso una progettazione partecipata, sviluppo di infrastrutture, scuole di base efficienti e scuole professionali, la creazione di un’economia stanziale.
Processi lunghi e faticosi, che accentuano la frustrazione di chi vorrebbe eliminare quanto prima “il silenzio, il vuoto, il niente”, se non altro per non portarne dietro il peso umano, che è poi il peso della Storia che, facendoci nascere nella parte fortunata del mondo, ci fa spesso dimenticare quanto di questa fortuna dobbiamo all’Africa calpestata e sfruttata. Quella che bussa e busserà alla nostra porta, e noi siamo già all’erta, diffidenti, impauriti, ostili.
Seconda tappa: un viaggio solitario in Grecia fuori dai percorsi consueti, non per fuga ma per mettersi in gioco, perdersi per ritrovarsi cambiati, più ricchi. Grecia paese di bellezza e armonia, patria della filosofia e del pensiero, culla di Anacreonte, di Saffo, di Simonide. Un luogo dello spirito oltre che reale.
Skiatos e Skopelos ne sono l’emblema, con le loro armonie di colori, odori, silenzi, con l’alternarsi di foreste, macchia mediterranea, rocce ocra e grigia, spiagge di sabbia bianchissima. E mare, tanto mare, con la “musica dell’acqua che evoca pensieri, poi si ritira ripulendoli”, mare che fluisce incessante come il “panta rei” di Eraclito, e ci ricorda che ogni momento è unico, che tutto è mutevole e in divenire. Che niente è perfetto come sembra, che il limite è sempre in agguato, come i terremoti periodici che devastano il territorio, a sottolineare che non siamo onnipotenti.
Ci si può illudere di eternità al crepuscolo di Grossa, mentre il sole scende e subentra pallida la luna, accompagnata da Ecate, dea dell’oscurità: ma rimane la consapevolezza che il tempo corrode tutto, anche le cose più salde. E in quel tutto ci siamo anche noi, con la nostra assurda rimozione della morte.
Di chi?
Dei turisti di massa che vedono e godono solo il paradiso delle spiagge tropicali, e solo quello vedono perché solo quello vogliono vedere, in una vacanza che è non è vera partenza ma illusione, dal momento che si portano dietro il loro mondo sempre identico, ben attenti a non contaminarsi con la realtà intorno.
Dei turisti di lusso in resort con il troppo e il più del benessere occidentale, vere cittadelle fortificate dove tutto è controllato e pianificato, perfetto e amabile, posti di fantasia che altro non sono che prigioni dorate per viaggiatori prigionieri soprattutto di se stessi.
Dei faccendieri, i senza scrupoli, i violenti e corrotti delle città, dove regna la legge del più forte e del più furbo.
Dei dominicani che aspettano che un po’ dell’immensa ricchezza di pochi possa arrivare un giorno all’immensa povertà dei più, pazienti, miti, nelle loro baracche malandate e nelle piantagioni di canna, banana, zucchero e caffè.
Degli haitiani che sono arrivati, o sono stati convinti ad arrivare con prospettive di benessere, per ritrovarsi ultimi tra gli ultimi nell’interno dei batey, il peggio delle baraccopoli, clandestini privi di qualsiasi diritto, documenti, il riconoscimento dei figli, l’istruzione, le cure, un lavoro che serve solo per un piatto di fagioli. Senza voce che parlano con la forza degli occhi.
Perché questo pezzo d’Africa trapiantato in America con la tratta degli schiavi, ha mantenuto nel tempo le caratteristiche di uno schiavismo economico e sociale che costringe a vite di “fatica e dolore, ferro e fuoco”.
E magari sarà l’immigrazione europea di domani, se non si metteranno in atto politiche capaci di valorizzare il territorio, produrre lavoro, distribuire la ricchezza.
“Viaggi di Nuvole e Terra” è un libro denso, un po’ diario di luoghi, di emozioni anche contraddittorie e di interrogativi esistenziali, e un po’ di riflessioni che a volte sconfinano in brevi saggi. Ci sono il cuore e la mente, la voglia di capire e di intervenire al di là di certi stereotipi anche progressisti. Ci sono l’empatia senza pietismo e domande che investono il nostro modo di stare nel mondo. Problematico e lucido, con un linguaggio che arriva diretto ai sensi. Da leggere.
Tiziana Viganò
"Viaggi di nuvole e terra:taccuini tra realtà e fantasia"
(Macchione editore 2018)
Tiziana Viganò
"Viaggi di nuvole e terra:taccuini tra realtà e fantasia"
(Macchione editore 2018)