lunedì 13 luglio 2020

"Troppo alcol fa male" di Giuseppe Milanesi. Miniracconto per "Il vizio di scrivere - un giallo in venti righe" NUMERO TREDICI


"Troppo alcol fa male" del giallista Giuseppe Milanesi, miniracconto ad alta tensione per "Il vizio di scrivere - un giallo in venti righe" 

Aveva un forte mal di testa. Aprì gli occhi e vide che il corpo di Federica era supino, pareva dormisse, ma quando le girò la testa vomitò. Metà della faccia non c’era più e dal cranio spaccato fuoriusciva abbondante materia grigia. Chiunque l’avesse ridotta in quel modo doveva essere una bestia, sia che appartenesse realmente al mondo degli animali oppure a quello più probabile degli esseri umani. Si domandò perché, ma la paura le giunse prima della risposta e allora prese a correre impazzita. Animale, uomo o entità misteriosa non importava, lei doveva scappare lontano. I rami degli alberi si impigliavano nei suoi vestiti, i rovi le laceravano la pelle, ma non smetteva di correre.
Cadde e si rialzò una prima volta, continuò più forte la sua corsa, però una grossa radice la fece inciampare di nuovo: questa volta rotolò sul declivio della montagna e andò a fermarsi contro il tronco di un larice. Dolorante, senza più forze, si rassegnò al suo destino: se l’avesse trovata chi aveva trucidato la sua amica, probabilmente le avrebbe fatto fare la stessa fine. Non aveva scampo, tuttavia doveva ricostruire la cronologia degli eventi.
Non rammentava granché, e più si sforzava più le aumentava quel maledetto mal di testa. Poi però la sua mente tornò a quando lei e Federica erano partite armate di tenda e viveri per fare campeggio libero. Sole, un paio di giorni in mezzo alla natura senza i rispettivi ragazzi. E dopo cena era saltata fuori una bottiglia di rum, che dapprima era servita a renderle allegre, poi ad annegare i loro dispiaceri sentimentali. Fu proprio in quel momento che nacque l’accesa discussione: Federica accusava Giuliana di essere andata a letto con il suo fidanzato. Lei negava, ma quella, in preda ai fumi dell’alcol le si era avventata addosso stringendole le mani intorno alla gola. Furono attimi di forte concitazione, poi il buio.
Riprese fiato, si alzò e guardandosi intorno si accorse che non c’era nessuno. Un grande silenzio. Doveva assolutamente tornare alla tenda per capire cosa fosse successo durante il suo blackout mentale.
Il corpo dell’amica era ancora là dove l’aveva lasciato. A una decina di metri, dall’erba spuntava la pesante mazzetta servita per piantare i picchetti della tenda. Era insanguinata e ricoperta di frammenti ossei. Si guardò le mani, erano sporche di sangue come le sue braccia. Si toccò il viso e i capelli, c’erano brandelli di cervello. Urlò disperata. Ora sapeva che se voleva correre avrebbe dovuto farlo solo per fuggire da se stessa.

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