I volti delle statue di Niccolò Dell’Arca esprimono le
fortissime emozioni che suscita la morte violenta e aiutano a decodificarle. Noi
come reagiamo? Siamo empatici o evitanti o assuefatti? Proviamo dolore, disperazione, orrore, sconcerto oppure assuefazione, abitudine o negazione?
“Compianto sul Cristo morto”: gruppo di statue in
terracotta (1460-90) di Niccolò dell’Arca. Bologna, chiesa di Santa Maria della
Vita.
Abbiamo tutti la percezione che
la violenza sia in aumento: i media ci bombardano di notizie di efferati
delitti, femminicidi, infanticidi, senza contare le stragi di civili nelle
guerre che costellano il mondo. La violenza “fa notizia” e c’è in fondo un
certo compiacimento da scoop giornalistico sotto la velata condanna.
I “gialli”, polizieschi e no
sono presenti a tutte le ore del giorno sulla tv e registrano altissimi livelli
di audience: c’è in tutti noi un’assuefazione alla violenza?
Se all’ora di pranzo e di cena
accendiamo la tv ci colpisce come un pugno nello stomaco l’immagine di un
anatomo-patologo che disseziona un cadavere orrendamente sfigurato? che
partecipazione sentiamo per la visione dei
naufraghi dei barconi della morte nel Mediterraneo, della guerra in Siria
o Iraq, di bambini massacrati a Gaza? Siamo indifferenti alla violenza negli
stadi? Anche la morte per fame di intere popolazioni è violenza del nostro
mondo sviluppato sulla pelle dei più deboli… E’ di ieri, 20 agosto, il video dell’esecuzione di un reporter americano in Iraq, lunghi, sconvolgenti, atroci minuti prima della
decapitazione: il condannato parla e poi attende il colpo, la tragedia sul suo viso forzatamente composto. Ci hanno
risparmiato la visione del colpo finale, come il video sulla lapidazione di una donna pochi
giorni fa…..
Fatti lontani o vicini, sentiti
e vissuti in modi molto diversi.
Il nostro livello di tolleranza nei confronti della violenza dipende dalla capacità di sensibilizzarci, dalla nostra capacità di
empatia e dal senso di responsabilità che abbiamo nei confronti dei nostri
simili.
L’esposizione continua a visioni
violente però crea assuefazione, o meccanismi di difesa come la negazione, la fuga dagli eventi inquietanti.
Ma è molto pericoloso abituarci
alla violenza, perché offusca la consapevolezza del male: se riflettiamo siamo
già assuefatti e quasi rassegnati a
tanti comportamenti illeciti (come furti concussioni frodi corruzioni o ad
altre violazioni delle leggi) come se fossero comportamenti normali, quasi
prevedibili, inevitabili se non quasi accettabili.
Ma da qui ad arrivare
all’anestesia anche di fronte all’omicidio e alla violenza il passo è breve.
Questo fatto diventa
estremamente grave e pericoloso quando i bambini sono esposti a queste scene,
siano esse nella vita reale che in tv o nei videogiochi, soprattutto in età in
cui non c’è ancora la capacità di distinguere la differenza tra la realtà e la
fantasia. In questo modo sviluppano la convinzione che la violenza sia un
comportamento normale e accettabile per risolvere conflitti e problemi e quindi
sviluppano alti livelli di aggressività, come evidenziano studi e ricerche
sulla formazione della personalità e del carattere in relazione alla percezione
della violenza assistita o subìta. Ma il loro modello di comportamento è quello
cui hanno assistito. Così come un’educazione fatta di violenze anche solo
verbali può creare nei bambini sistemi di adattamento e difesa che possono
sfociare in gravi forme di depressione, vulnerabilità, ansia e altri problemi
mentali.
La maggioranza dei criminali che
agiscono violenza sulle donne hanno avuto storie di infanzia non protetta
o violata. Il passaggio all’atto
violento si ha in caso di difficoltà ad entrare in relazione con la donna,
spesso determinato dalla paura del confronto, dalla paura della donna. L’atto del violento è la negazione della propria
fragilità, è non riconoscere la propria paura.
Da parte della donna mai
considerare come segni di attaccamento quello che non lo è, mai sottovalutare
gli insulti pesanti, le esagerate scenate di gelosia: sono segnali che possono preludere a
fatti cruenti. Dietro la violenza c'è spesso la convinzione che quel comportamento sia normale e dimostri amore. Convinzioni distorte e disfunzionali. Davanti alla violenza dobbiamo avere idee molto chiare e forti principi.
E’ indispensabile creare una
strategia sociale, culturale e legislativa in grado di affrontare questa
tragica realtà attraverso la prevenzione, stigmatizzando ogni forma di violenza
per evitare che questa dilaghi, creando una cultura diversa, che si basi su
positive relazioni con gli altri, sulla buona comunicazione, fin dalla più tenera età.
In famiglia per prima cosa, e nelle scuole di ogni ordine e
grado è prioritaria l’educazione al rispetto della persona, di qualunque
persona, che colmi lacune lasciate dalle famiglie, o da genitori per vari motivi incapaci
di formare i figli in questo senso oppure non attenti ai loro segnali psicologici.
La prevenzione della violenza è
efficace perché combatte il male prima che venga alla luce: è un invito ai
padri e alle madri a parlare e confrontarsi con i figli, gli insegnanti con gli
studenti, gli uomini tra loro, le donne tra loro e anche uomini e donne che trovino modalità diverse di relazione
reciproca. Il nostro sembra il mondo della comunicazione a tutti i livelli, ma in realtà c'è così tanto da fare...
Prevenzione della violenza è anche averne consapevolezza, non
accettarla mai, non voltare la testa per non vederne la realtà, ma anche non
accettarne l’esibizione continua come un modello imperante nella società.
E senza dubbio avere una maggiore empatia, cioè condividere le emozioni e i pensieri degli altri entrando nel loro mondo e comprendendo il loro punto di vista. Concludo con una frase di Papa Francesco, grande comunicatore, con il più alto livello di empatia che si possa oggi vedere e ascoltare:
"Partecipiamo troppo spesso alla globalizzazione
dell’indifferenza; cerchiamo invece di vivere una solidarietà globale" (Papa Francesco)
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