un errore fatale nel miniracconto di Tiziana Leone per "Il vizio di scrivere - Un giallo in venti righe"
Scassinare la porta non sarebbe stato un
problema. Bastava avere gli strumenti giusti. E lui ce li aveva. Frequentare
certa gente aveva i suoi lati positivi. Poche mosse e la porta si aprì davanti
a lui. Era buio, come si aspettava che fosse, ma lui conosceva ogni centimetro
di quella casa, orientarsi sarebbe stato uno scherzo.
Avanzò piano sul tappeto persiano, uno
dei tanti che lei aveva piazzato in giro per casa. Li odiava, quei tappeti.
Sempre tra i piedi. Andò a sbattere contro il divano. Diceva spesso che voleva
cambiare la disposizione dei mobili in salotto. Non si aspettava che lo facesse
proprio quel weekend, senza di lui.
Il parquet che rivestiva i gradini
scricchiolò e lui si fermò un istante. Silenzio. Raggiunse la camera da letto:
loro due erano lì, dormivano abbracciati. Dalla tasca del giubbotto tirò fuori
la mano, tra le dita una pistola. Era stato facile procurarsela. Un po’ meno
recuperare il silenziatore. Mirò alla testa di lei e sparò. Uno schizzo rosso brillante
si dipinse sul muro bianco. Poi toccò a lui. Afferrò il lenzuolo e lo tirò via.
Voleva vederli. Erano nudi, come si aspettava. Un moto di disgusto lo prese
allo stomaco. Aveva bisogno di bere qualcosa di forte. Aveva ancora un’ora
prima di ripartire. L’idea dell’Oktoberfest l’aveva avuta lei. Gli aveva detto
che un fine settimana con gli amici gli avrebbe fatto bene. E con lui lontano,
avrebbe avuto il letto libero. Stronza.
Tornò di sotto e accese la luce in
cucina. Rossa. Da quando la loro cucina era rossa? Su un mobile c’era una foto
e la prese. L’uomo che aveva appena ucciso teneva una sconosciuta tra le
braccia. Lasciò cadere la cornice, il vetro si frantumò sul pavimento. Si guardò
le mani: le impronte digitali… le aveva lasciate ovunque.
Complimenti! Una manciata di righe per creare l’atmosfera. Il finale non è scontato.
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