Amavo il mio
lavoro, poi sono apparsi questi noduli, prima un dito, poi un altro, poi un
altro ancora, fino a dare alla mia mano un aspetto deforme e nodoso.
«Purtroppo non
esistono cure risolutive.» mi diceva il medico. «Le cause derivano senz’altro
da un’attività caratterizzata da gesti ripetitivi, una sollecitazione eccessiva
delle articolazioni delle dita.»
Amavo il mio
lavoro, ma impugnare il mio strumento proprio non lo potevo più fare. Mi
risultava difficoltoso fare pressione con la mano.
I miei sintomi
sembrava avessero preso la rincorsa, forse un castigo per i miei peccati, ma,
d’altronde, chi non ne ha? L'artrosi delle mani è una brutta bestia, una malattia
a cui non c’è rimedio. Una malattia che nel tempo tende ad aumentare la sua
gravità.
Amavo il mio
lavoro, ora che non lo posso più esercitare le giornate sono immobili; non
sopporto la ripetitività delle ore, dei minuti, dei momenti; tutto è estenuantemente
invariabile.
Ancora un altro
giorno, ancora il dolore alla mano che non mi abbandona. Ancora con la mia
canottiera macchiata di vino a strascinarmi per casa con in mano un bicchiere.
La barba sfatta, i capelli arruffati; le lancette dell’orologio girano e io che
non so come passare il tempo. Giornate di piombo, quando non sai cosa fare.
Ma oggi ho
deciso, devo rompere questa monotonia insopportabile. Apro la custodia di pelle
nera, estraggo lo strumento che per tanti anni è stato mio compagno di vita; rimango
affascinato dalla sua lucentezza metallica. Lo porto delicatamente alla mia bocca.
Da ragazzo avevo un sogno, ricordo, imparare a suonare la tromba. A fatica
piego il dito. Dopo lo sparo, schizzi del mio cervello imbrattano la parete.
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