mercoledì 6 marzo 2019

"Maledetta primavera" racconto di Giancarlo Bosini per "Il vizio di scrivere"

Per Il Vizio di scrivere, domenica 3 marzo 2019 presso la Biblioteca di Rescaldina, Giancarlo Bosini ha scritto questo giallo-flash sull'argomento "Maledetta primavera"

Il freddo mi penetra nelle ossa, doloroso come una lama di ghiaccio. Grossi fiocchi di neve lentamente sfiorano il mio collo. Li sento scorrere giù per la schiena. Brividi, quei brividi che tanto detesto.
Mi alzo il bavero mentre maledico questo inverno che non vuole passare. Verrà la primavera, mi dico per l’ennesima volta, quasi a consolare me stesso.
Aspetto. Nessuno ancora! Sono solo, solo in questo dannato posto fuori dal mondo.
La neve intanto si sta facendo sempre più fitta, rendendo i miei passi incerti. Scivolo.
Forse qualcosa esce dalle mie tasche. Cerco nel buio, nulla. Sicuramente è stata solo un’impressione.
In lontananza un campanile batte ovattate le ore. Le due del mattino. Nessuno in giro. Fra poco sarà qui. Non ho un piano. Starò a vedere, poi il destino sceglierà per me.  Il destino, quel sentiero che la vita ha previsto per ciascuno di noi. Inutile cercare di cambiarlo, è già scritto, non possiamo sfuggirgli. Mi chiedo fino a dove possa arrivare la nostra discrezionalità e fino a che punto possiamo controllare la nostra mente? Non è forse vero che abbiamo già una matrice che modella il nostro io in modo immodificabile, il nostro modo di essere, il nostro modo di reagire?
Aspetto. Ancora non si vede, ancora il gelo si è fatto più forte. Ancora i brividi fanno fremere il mio corpo. Maledetto inverno, arriverà mai la primavera? - mi ripeto ancora, come se la cosa potesse donarmi qualche caldo raggio di sole sulla pelle.
Cosa farò? Si, cosa farò?
Pensavo di aver pianificato tutto nei minimi particolari. Non dovevano esserci imprevisti. Nessuno avrebbe dovuto sapere, nessuno avrebbe dovuto vedere, ma poi è arrivata quella chiamata.
- Ma chi sei?
Solo un clic come risposta. Ed ora eccomi qui. Attendo, non so chi, ma attendo col cuore che batte sempre più in fretta.
Nella tasca stringo la mia pistola. Acciaio gelido che brucia la mia pelle come un ferro rovente. Poi un chiarore. Il cono di due fari squarcia il buio, illuminando infiniti fiocchi di neve.
L’auto si ferma a pochi metri da me. Un figura in controluce si staglia davanti ai miei occhi accecati dai fari.
- Hai portato? - mi chiede la sua voce.
- Ecco. - rispondo gettando una sacca verso il mio sconosciuto interlocutore.
Lo vedo chinarsi a controllare.
- Alla prossima! - mi dice  - Non avrai davvero pensato che la cosa sarebbe finita qui?
Non sapevo cosa avrei fatto, ma era già scritto. Infilo la mano nella tasca. Sparo. Si accascia sulle ginocchia, si raggomitola con un gemito, mentre la neve alla luce di quei fanali si arrossa attorno a quel corpo adesso immobile.
Nessuno attorno, anche questa volta l’ho fatta franca, mi sono detto.

- Come hanno fatto a beccarti? - mi chiede il mio compagno di cella.
- Quando l’inverno è finito, si è sciolta la neve. Sul luogo del delitto hanno trovato un cellulare, il mio. Ecco cosa mi era caduto dalla tasca. Sono risaliti subito a me. Maledetta primavera

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