Il freddo mi
penetra nelle ossa, doloroso come una lama di ghiaccio. Grossi fiocchi di neve
lentamente sfiorano il mio collo. Li sento scorrere giù per la schiena.
Brividi, quei brividi che tanto detesto.
Mi alzo il bavero
mentre maledico questo inverno che non vuole passare. Verrà la primavera, mi
dico per l’ennesima volta, quasi a consolare me stesso.
Aspetto. Nessuno
ancora! Sono solo, solo in questo dannato posto fuori dal mondo.
La neve intanto si
sta facendo sempre più fitta, rendendo i miei passi incerti. Scivolo.
Forse qualcosa
esce dalle mie tasche. Cerco nel buio, nulla. Sicuramente è stata solo
un’impressione.
In lontananza un
campanile batte ovattate le ore. Le due del mattino. Nessuno in giro. Fra poco
sarà qui. Non ho un piano. Starò a vedere, poi il destino sceglierà per
me. Il destino, quel sentiero che la
vita ha previsto per ciascuno di noi. Inutile cercare di cambiarlo, è già
scritto, non possiamo sfuggirgli. Mi chiedo fino a dove possa arrivare la
nostra discrezionalità e fino a che punto possiamo controllare la nostra mente?
Non è forse vero che abbiamo già una matrice che modella il nostro io in modo
immodificabile, il nostro modo di essere, il nostro modo di reagire?
Aspetto. Ancora
non si vede, ancora il gelo si è fatto più forte. Ancora i brividi fanno
fremere il mio corpo. Maledetto inverno, arriverà mai la primavera? - mi ripeto
ancora, come se la cosa potesse donarmi qualche caldo raggio di sole sulla
pelle.
Cosa farò? Si,
cosa farò?
Pensavo di aver
pianificato tutto nei minimi particolari. Non dovevano esserci imprevisti.
Nessuno avrebbe dovuto sapere, nessuno avrebbe dovuto vedere, ma poi è arrivata
quella chiamata.
- Ma chi sei?
Solo un clic come
risposta. Ed ora eccomi qui. Attendo, non so chi, ma attendo col cuore che
batte sempre più in fretta.
Nella tasca
stringo la mia pistola. Acciaio gelido che brucia la mia pelle come un ferro
rovente. Poi un chiarore. Il cono di due fari squarcia il buio, illuminando
infiniti fiocchi di neve.
L’auto si ferma a
pochi metri da me. Un figura in controluce si staglia davanti ai miei occhi
accecati dai fari.
- Hai portato? -
mi chiede la sua voce.
- Ecco. - rispondo
gettando una sacca verso il mio sconosciuto interlocutore.
Lo vedo chinarsi a
controllare.
- Alla prossima! -
mi dice - Non avrai davvero pensato che
la cosa sarebbe finita qui?
Non sapevo cosa
avrei fatto, ma era già scritto. Infilo la mano nella tasca. Sparo. Si accascia
sulle ginocchia, si raggomitola con un gemito, mentre la neve alla luce di quei
fanali si arrossa attorno a quel corpo adesso immobile.
Nessuno attorno,
anche questa volta l’ho fatta franca, mi sono detto.
- Come hanno fatto
a beccarti? - mi chiede il mio compagno di cella.
- Quando l’inverno è finito, si è sciolta la neve.
Sul luogo del delitto hanno trovato un cellulare, il mio. Ecco cosa mi era
caduto dalla tasca. Sono risaliti subito a me. Maledetta primavera
Un bel racconto, un finale inaspettato. Bravo Giancarlo !!!
RispondiElimina