recensione di Tiziana Viganò
Annunciazione: olio su tavola (1473-74).
Monaco di Baviera, Alte Pinakothek
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Annunciata: olio su tavola (1476)
Palermo Palazzo Abatellis
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L’Io
Narrante è lo stesso pittore che si confessa in punto di morte al suo primo
maestro Colantonio e racconta tutta
la sua appassionata e turbolenta vita, la sete di conoscenza inestinguibile, i
suoi continui viaggi, gli artisti incontrati, descritti nei loro tratti più
intimi e quotidiani (Van Eyck, Mantegna,
Piero della Francesca, i Bellini, Petrus Christus, Pisanello, Van Der Weyden)
e i personaggi illustri che lo hanno considerato amico o nemico, re cortigiani
e nobildonne nel contesto delle loro corti, mercanti popolani puttane e malfattori
nelle vie delle città dell’epoca.
Al
di sopra di tutto la ricerca insoddisfatta dell’arte pura, il sogno di
dipingere l’opera innovativa e perfetta, l’ossessione di raggiungere
l’immortalità, unico scopo della vita.
Le
pagine scorrono veloci, come le vicende vorticose della storia del
Quattrocento: insieme al pittore si cammina nella polvere delle strade d’Europa
e d’Italia (Palermo, Napoli, Roma, Mantova, Arezzo, Bruges): nell’umido delle
calli di Venezia Antonello troverà stimoli nuovi alla propria arte, amore, gloria,
ma anche la sua tragedia. .
La
figura del protagonista si delinea nella sua calda umanità, nelle luci e nelle
ombre, nelle altezze e nelle miserie: i dipinti sono raccontati dall’autrice
come chi davanti all’opera pittorica guarda con gli occhi, sente col cuore e
ascolta la sua voce interiore.
Occhi
scuri e ammalianti, sguardo che non nasconde lo stupore, il turbamento; viso
perfetto, pallido, illuminato da un sorriso enigmatico, appena accennato: la
figura si staglia solitaria su uno sfondo scuro, la luce radente si concentra
su un velo pesante, dal colore dei lapislazzuli, che cade a larghe pieghe
oblique. La mano sinistra chiude la stoffa sul petto in un gesto di protezione
e di pudore: la destra è alzata come a fermare qualcosa o qualcuno che l’ha
sorpresa mentre leggeva un libro, forse la Bibbia, rimasto con le pagine aperte
a mezz’aria ad indicare l’imprevedibilità del momento.
Una
tavola di legno di piccole dimensioni, dipinta a olio, ritrae una donna
bellissima, con fattezze che ricordano le donne siciliane: ma la modella dell’Annunciata di Palermo, secondo la
scrittrice, è la donna amata disperatamente, Griet, la figlia del pittore Van Eyck
morta poco prima che il pittore finisse il suo quadro. Proprio lei aveva rivelato
ad Antonello il segreto della formula
per la pittura ad olio, donandogli i preziosi appunti del padre e
aprendogli le porte della gloria.
Il libro si apre
col Trionfo della Morte di Palermo, l’affresco allegorico attribuito al
borgognone Guillaume Spicre (1446 ca) staccato da palazzo Sclafani e
conservato oggi a Palazzo Abatellis. Antonello lo vide da ragazzo e, come in un
innamoramento folgorante, lo indusse a intraprendere la strada della pittura e
a inseguire per tutta la vita il sogno di dipingere con i colori ad olio. E il
libro si chiude con il trionfo della morte, quella reale: muore Griet, avvelenata
dal marito geloso, e Antonello vagherà come impazzito con la sua bara finché
cadrà ammalato e morirà anch’egli, nel 1479 nella sua Messina, così amata e
odiata.
Dove
finisce la biografia e dove comincia l’invenzione di Silvana Spina? Leggendo questo libro non ha importanza: L’uomo
venuto da Messina è un romanzo davvero affascinante, che
coinvolge in ogni sua pagina.
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