recensione di Tiziana Viganò
Con “La ragazza nella nebbia”, edito da Longanesi, Donato Carrisi cambia tonalità di
scrittura: colori, suoni e parole sono meno cupi di altri suoi libri, il ritmo
è meno concitato, c’è l’atmosfera di apparente normalità in un paesino di
montagna interrotta dalla scomparsa di
una ragazzina di sedici anni. Forse è solo la fuga da casa di
un’adolescente? Non c’è il corpus delicti a provare un fatto orrendo, c’è solo una
piccola comunità in una sperduta valle, che nasconde segreti forse
inconfessabili.
I network televisivi organizzano subito la spettacolarizzazione dell’orrore,
buttano alla ribalta gli abitanti del paesino, cercano il mostro, che diventa
ancor più mostruoso perché la ragazzina è una come tante, senza macchia, pulita
e innocente, neppure bella. Tutti cercano la celebrità, non diversamente dal
poliziotto che conduce le indagini e dalla giornalista d’assalto: il fascino
della notorietà è irresistibile, fa sentire, speciali, si vorrebbe prolungarlo
all’infinito.
Mentre i “turisti
dell’orrore” arrivano per sentire l’odore della sofferenza altrui, ma anche
per rimpolpare le finanze del paese, l’evento
mediatico diventa il vero protagonista: Anna Lou, la ragazzina scomparsa,
rimane sullo sfondo, è un pretesto.
Se le statistiche dicono che ogni sette secondi avviene un
crimine, solo pochissimi riescono a catturare l’attenzione dei media, ma quei
pochi diventano occasione per invitare a infinite discussioni nei talk show esperti,
presunti esperti, opinionisti, star dello spettacolo per mesi se non per anni,
con un indotto di denaro, di audience e di pubblicità infinito. Come tutti
possiamo verificare facendo zapping col telecomando, anche se cerchiamo di
sottrarci all’ossessione qualcosa riesce sempre a raggiungerci.
Il poliziotto incaricato delle indagini, Vogel, è un maestro
nel manovrare i media per i suoi fini.
Lo show viene dato in pasto a un pubblico famelico che ha
bisogno di colpi di scena e di novità sempre fresche: il crimine si trasforma in business. La giustizia e la verità non interessano più, l’importante è catturare un
colpevole, per sentirci sicuri, per proiettare su un essere che pensiamo
non umano, diverso da noi, perché capace di commettere cose orribili, quelle
che in noi stessi non possiamo riconoscere.
È la zona oscura, l’Ombra junghiana che c’è dentro ogni
essere umano, quello che ci fa paura e che proiettiamo sul mostro – che di solito è un individuo banalissimo -.
L’eroe criminale è quindi il simbolo di un’aggressività violenta che non ci
appartiene più, ma che ci attrae inesorabilmente, perché il Bene è così poco
interessante, « è il cattivo che rende la mediocrità più accettabile, è lui che
fa la storia » e noi abbiamo bisogno di sentirci sempre migliori di qualcun altro.
Donato Carrisi come sempre indaga e approfondisce il tema del Male, con la maiuscola: la
sua scrittura scarna ed essenziale conduce il lettore nei meandri della psiche
criminale accompagnandolo con la sua grande competenza (è laureato in
giurisprudenza, specializzato in criminologia e scienza del comportamento) . Dopo
Il Suggeritore, best seller
internazionale da un milione di copie, seguito da Il tribunale delle anime (2011) La donna dei fiori di carta (2012 )
L’ipotesi del male (2013) Il cacciatore del buio (2014) pluripremiati romanzi editi da Longanesi, in questo nuovo romanzo
cambia registro.
Non c’è la lucida follia dei precedenti serial killer,
l’analisi accurata sulla psiche distorta, l’irruzione feroce del crimine fin
dalle prime pagine, il ritmo ansiogeno: qui il Male prende altre forme, si
insinua a poco a poco tra le pagine del libro, ma non per questo la narrazione
risulta meno efficace, anzi!
L’autore si riconferma come uno dei più grandi maestri del
thriller, capace di inchiodare l’attenzione del lettore dalla prima all’ultima
pagina. La ragazza e il mostro rimangono nella nebbia fino a quando lo
scrittore decide di rischiarare con la luce solo un piccolo squarcio, fino al
lampo finale.
Una bella recensione per un grande autore. M
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