Per Il vizio di scrivere, edizione di gruppo online il 5 aprile 2020, Luigi Cerrato ha scritto questo racconto che fa meditare sull'oggi
Respirare.
Inspira, espira. Inspira, espira.
Contare.
Uno, due, tre, quattro, cinque, …, dieci.
Ancora respirare, ancora contare e ancora respirare e ancora contare.
Sono pronto, o forse ancora no, ma non importa, non posso indugiare.
Esco, fuori dalla porta, fuori dal cortile, fuori … sulla strada.
Silenziosa, vuota, appena rischiarata dalla luce dei lampioni, è sera.
Ricordare; no, no! Respirare e contare, respirare e contare! Devo smetterla di pensare e di ricordare.
Fa schifo, non lo avrei mai pensato, ma fa schifo il silenzio di una città, di un paese, di un villaggio, di una strada.
Il silenzio è dei boschi, dei monti, delle foreste, delle spiagge in inverno e dei paesini a ferragosto. Che poi non è un silenzio, perché ci sono sempre i suoni della natura, ma quelli sono appunto naturali, è rumore bianco, è giusto che ci sia e che lo si percepisca.
Invece questo no, non è un silenzio che da piacere, ma fa tremare, fa piangere, fa venir voglia di gridare, di prendere a calci i bidoni del pattume, che qualcuno, senza far rumore, ha portato giù in strada.
Respirare, contare e ora camminare.
Cammino lento, con le mani in tasca, con la testa alta ma l’umore a terra; non sono solo, nessuno davanti a me e nessuno dietro, ma tanti sopra, a guardarmi, a giudicarmi.
Respirare, contare e camminare.
Continuo per la mia strada, che conosco a memoria, buca dopo tombino, cartello dopo bottega, discesa dopo incrocio. Continuo e non mi fermo. Non ho paura, non devo averne, ho solo disgusto, per questo silenzio che mi circonda ma che non è reale. Perché sono sicuro che tutti vorrebbero gridare, tutti vorrebbero smetterla di pensare e ricordare. Tutti vorrebbero solo poter sognare.
E io non ho smesso di sognare.
Respirare, contare.
Inspira, espira. Inspira, espira.
Contare.
Uno, due, tre, quattro, cinque, …, dieci.
Ancora respirare, ancora contare e ancora respirare e ancora contare.
Sono pronto, o forse ancora no, ma non importa, non posso indugiare.
Esco, fuori dalla porta, fuori dal cortile, fuori … sulla strada.
Silenziosa, vuota, appena rischiarata dalla luce dei lampioni, è sera.
Ricordare; no, no! Respirare e contare, respirare e contare! Devo smetterla di pensare e di ricordare.
Fa schifo, non lo avrei mai pensato, ma fa schifo il silenzio di una città, di un paese, di un villaggio, di una strada.
Il silenzio è dei boschi, dei monti, delle foreste, delle spiagge in inverno e dei paesini a ferragosto. Che poi non è un silenzio, perché ci sono sempre i suoni della natura, ma quelli sono appunto naturali, è rumore bianco, è giusto che ci sia e che lo si percepisca.
Invece questo no, non è un silenzio che da piacere, ma fa tremare, fa piangere, fa venir voglia di gridare, di prendere a calci i bidoni del pattume, che qualcuno, senza far rumore, ha portato giù in strada.
Respirare, contare e ora camminare.
Cammino lento, con le mani in tasca, con la testa alta ma l’umore a terra; non sono solo, nessuno davanti a me e nessuno dietro, ma tanti sopra, a guardarmi, a giudicarmi.
Respirare, contare e camminare.
Continuo per la mia strada, che conosco a memoria, buca dopo tombino, cartello dopo bottega, discesa dopo incrocio. Continuo e non mi fermo. Non ho paura, non devo averne, ho solo disgusto, per questo silenzio che mi circonda ma che non è reale. Perché sono sicuro che tutti vorrebbero gridare, tutti vorrebbero smetterla di pensare e ricordare. Tutti vorrebbero solo poter sognare.
E io non ho smesso di sognare.
Respirare, contare.
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