domenica 5 aprile 2020

Cogli l’attimo: racconto di Michela Penna per Il vizio di scrivere


Per  Il vizio di scrivere edizione di gruppo online il 5 aprile 2020, Michela Penna ha scritto questo divertente racconto

D’accordo.
L’attimo: sono le tre di notte del 6 aprile 1520, Venerdì Santo.
Dopo 15 giorni di febbre acuta Raffaello spirò, la terra tremò e con lui morì il Rinascimento.
Si ammalò per eccessi amorosi, come scrisse il Vasari decorando la parola “sifilide”, o per avvelenamento.
L’ho appreso poco fa sgranocchiando crackers e Gianduiotti davanti alla TV.
Non ho scritto un testo lungo per guardare la trasmissione.
Ho colto l’attimo.

L’attimo è lo schizzo di sugo che – ribellandosi al vortice del cucchiaio di legno che ha disturbato la sua quiete – è saltato fuori dalla pentola dello spezzatino con una traiettoria decisa. La sua assenza non ha alterato il rosso vivido della pietanza, ma ha alterato il candore del mio grembiule. Ci sono presenze che passano inosservate in un contesto, ma si percepiscono fortemente in un altro.
Non ho scritto un testo lungo per passare il dito sulla stoffa e gustarmi la macchia.
Ho colto l’attimo. 

L’attimo è lo sfregamento impercettibile tra le vibrisse di Pingo e l’orecchio di Salem che stavano sonnecchiando vicini, indesiderato disturbo che li ha fatti svegliare. 
Come ogni gatto dal risveglio esogeno si sono stiracchiati, hanno richiuso gli occhi gialli e tondi e si sono riappisolati.
Non ho scritto un testo lungo perché quel tenero movimento è per me calamita, ho toccato il loro manto e li ho coccolati a lungo, ricavandomi uno spazio nel contrasto tra la loro morbidezza e il duro bracciolo del divano.   
Ho colto l’attimo.

L’attimo è il cadere della decima – l’ultima – colonnina di cenere dell’incenso alla rosa che ho bruciato per rendere più orientaleggiante la mia domenica, ultimo giorno di una settimana in cui il mio pensiero, lui che può, vola verso est almeno una volta al giorno.
Ha finito di bruciarsi e mi sono ricordata di avere ancora un bastoncino di incenso all’oppio comprato a Gubbio un anno e un mese fa, ma di non sapere dove fosse finito.
Non ho scritto un testo lungo perché l’ho cercato nei tre cassetti del comodino e l’ho trovato in quello della scrivania, l’ho acceso e l’ho annusato profondamente.
Ho colto l’attimo.

L’attimo è l’aprirsi della molletta tra le mie mani e il suo chiudersi mordendo i panni e il filo dello stendino sul balcone.
È un aprirsi lento e un chiudersi veloce, troppo veloce, così che anche se devo stendere una calza o un fazzoletto uso due mollette per rallentare il processo e godere dei rumori del cortile prima di tornare in casa davanti al PC.
Non ho scritto un testo lungo perché ho ascoltato il canto degli uccelli e il fruscio delle foglie.
Ho colto l’attimo.


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