Dà voce alla
sofferenza. Il dolore che non parla imprigiona il cuore agitato e lo fa
schiantare.(William Shakespeare)
Possiamo essere madri, ma solo chi ha provato la perdita di
un figlio non nato o già nato può realmente capire e condividere l’intensità
estrema di un dolore che rischia di ingoiare l’esistenza. Ascoltare una donna smarrita e sofferente, supportarla, non
è da tutti, a volte è più utile il silenzio o una carezza, starle vicino per
non farla sentire ancora di più isolata.
“Ciò che è davvero
necessario, quasi indispensabile, è che il nostro dolore sia riconosciuto e
accettato perché è un dolore reale, come reale era il figlio che aspettavamo”,
legittimato, compreso, rispettato dagli altri.
La tragica esperienza dell’aborto, soprattutto quando il
bambino è già da alcuni mesi nel grembo, Erika l’ha provata due volte di
seguito: dopo aver avuto due figli ormai grandi ha avuto un aborto a 20
settimane e un secondo a 15 settimane.
E’ un’esperienza che devasta una donna che si sente in
colpa, difettosa, “guasta”, vuota, sminuita di fronte alle altre che sono
riuscite a far nascere un bimbo vivo...e non importa se sia già madre di altri
figli, perché ogni bambino è un’entità diversa dalle altre, è frutto di
aspettative, sogni, emozioni, fantasie che sono di quel bambino, con
un’identità e un nome, e non di un altro.
“I bambini nascono
prima dai pensieri, poi diventano desideri, poi si cercano e quando arrivano
diventano reali”.
Erika dà voce alla sua esperienza con un’intensità e una a
profondità preziose.
Ad ogni parola si percepisce il grande lavoro di autoanalisi
che ha percorso, ogni parola è intrisa delle lacrime cocenti che ha versato;
una sofferenza che coinvolge con forza tutte le nostre emozioni, in una gamma
infinita di sfumature che ci fanno sentire lì con lei, in quei momenti, con
tutte le donne che hanno sofferto lo stesso aspro dolore, perché, se siamo
donne, non possiamo che compenetrare quello che sente, scendendo con lei
nell’abisso per poi risorgere a nuova vita, a progettare nuova vita.
Non tutte avranno il coraggio di fare con lei questo
percorso: non tutte le donne sentono fortemente l’istinto materno e potranno
pensare che non le riguarda, o che sono lontane da quel modo di sentire, o che
sono impotenti ad aiutare o anche potranno rifiutare di continuare la lettura.
In quel caso potranno chiedersi il perché, oppure no....dietro alla negazione
c’è sempre un oceano da scoprire, non tutti riescono a immergersi nelle
profondità oscure, preferiscono evitare, qualche volta questo è un bene, ma può
anche intossicare la vita.
Erika ha sofferto molto nel sentirsi ignorata o compatita o
quando si sentiva dire “ma tanto hai altri figli” o quando i medici parlavano
dei suoi due figli non nati “scarti istologici”, con un gelo che non è
scientifico, è solo inumano: imparare l’empatia, cioè, per dirla un po’ troppo
semplicemente, mettersi nei panni degli altri, è qualcosa che ci rende più
umani, che ci fa dare quanto ricevere amore e gratitudine, è qualcosa che ci
rende più felici, in questo mondo dove la sofferenza è parte della vita stessa,
senza distinzione, e raramente fa sconti a qualcuno.
Erika ha il coraggio di attraversare il dolore più
straziante senza cadere in pezzi, trasformandolo in amore per una nuova vita, e
per un’altra ancora, aprendo il suo cuore all’ascolto dei battiti suoi e dei
suoi figli in armonia con la Natura e con gli altri. Va in profondità di se
stessa e accetta, poi progetta di nuovo, perché in lei la forza della VITA è
più forte di qualunque paura.
“Devo solo lasciare
che il tempo faccia il suo corso, lasciare che nel tempo alcune emozioni si
sedimentino, altre maturino, altre scompaiano e che col tempo mi sia restituito
un corpo capace di far vivere ancora”.
Accanto a lei c’è la figura di suo marito, un UOMO a lettere
maiuscole, come tutte vorremmo averne uno vicino, capace di silenzio e di
sostegno, di forza e delicatezza, di dolore e di serenità. Una figura di primo
piano, densa d’amore.
“Ho scoperto che ciò
che mi serve per costruire il mio futuro non è fuori, ma è dentro di me. Quella
dimensione sconosciuta dalla quale arrivo e verso la quale vado non è al di là,
ma è al di qua...Il percorso che ho compiuto sta tutto dentro, è invisibile, ma
mi ha portato davvero molto lontano, in un luogo in cui ho fiducia che saprò
trovare, qualunque cosa accada, un modo per sentirmi felice”.
Consiglio
Una lettura che potrà dare a tutte le donne la possibilità
di comprendere meglio se stesse e le altre.
Gli uomini che leggeranno il libro, spesso confusi di fronte
alle forti emozioni delle donne, riusciranno a entrare nel difficile e
complicato mondo femminile con una consapevolezza maggiore e con strumenti in
più per essere vicino alle loro compagne.
Sicuramente fondamentale per tutte le donne che hanno avuto
esperienze così dolorose, perché la condivisione le aiuterà a uscire dal tunnel
della sofferenza: è un libro raccomandato da professioniste ginecologhe così come
il blog di Erika http://professionemammablog.blogspot.it
, e lo“Sportello a braccia vuote” presente nelle città di Roma, Como, Cagliari
e Milano.
Erika Zerbini, genovese, oggi ha tre figli: la più grande
tredicenne, un’altra di sei anni e il più piccolo di quasi tre anni, arrivato
dopo la perdita durante l'attesa delle due bambine di cui parla nel suo libro.
Da allora ha coltivato interesse per la psicologia, l'ascolto e il sostegno alle
mamme. Dopo “Una questione di biglie” ha scritto e pubblicato (solo in versione
e-book) “Nato vivo”, una raccolta di e-mail che percorrono il periodo della
gravidanza dopo il lutto, quindi “Professione MAMMA”, da cui il suo blog http://professionemammablog.blogspot.it, che intende
invece focalizzare l'attenzione sulla maternità vissuta.
Grazie di cuore. Parole dolcissime che mi hanno regalato commozione... quella buona, dolce e avvolgente.
RispondiEliminaMi hai accolta e io te ne sono grata.
Ti abbraccio.
Erika
Il tuo libro è di grande valore.molto emozionante!
RispondiEliminaGrazie Tiziana. Ho letto oggi sulla 27ora il racconto di Erika. Nel 2007 ho ricevuto l'enorme dono della nascita della mia bimba, sana, bella, intelligente. Poi non sono più riuscita a rimanere incinta, fino al 2010, quando alla 14esima settimana mi hanno diagnosticato una trisomia 18, incompatibilità alla vita (la bimba sarebbe morta entro i nove mesi di gestazione o nei primi mesi di vita). Ho abortito, per "fortuna" era cresciuta poco e sono riusciti a farmi un raschiamento e non ho dovuto abortire.
RispondiEliminaNel 2011 ci riprovo ed ecco che è in arrivo un bel maschietto: la villocentesi mi dice che è sano e va tutto bene. Il bimbo cresce, è vivace, e noi siamo al 7mo cielo. Alla 20esima settimana il suo cuore non batte più, mi diagnosticano la morte a due settimane prima e mi ricoverano d'urgenza, altrimenti rischio la pelle anche io. Il resto, tutto quanto è successo, è descritto alla perfezione da Erika. Non mi dò per vinta, e nel 2012 rieccoci: è in arrivo una bimba. La villo dà un esito incerto, mi consigliano di aspettare e fare un'amniocentesi. Mi hanno diagnosticato un accrescimento sul cromosoma 15, ho il 50% di probabilità che la amnio mi confermi il verdetto. Non voglio rischiare, non voglio più passare i terribili momenti già vissuti, sono determinata ad abortire, finchè sono in tempo per un raschiamento. In Italia non posso più farlo, non sarebbe un aborto terapeutico, devo andare in Francia. Il mio ginecoloco mi convince a stringere i denti e ad aspettare l'esito della amnio, questa volta deve andare bene, dopo due sconfitte. Passano settimane, di angoscia, di attesa e...la diagnosi è confermata. Non posso tenere la bambina, l'accrescimento del cromosoma 15 comporta conseguenze pesantissime e vengo convinta da ginecologo, genetista, ostetriche e psicologhe ad abortire. Sono alla settimana 17 e 5 giorni. Mi fanno un "summit" in Mangiagalli con tutti i guru: io e mio marito siamo sani, siamo stati solo sfortunati e siamo un caso da manuale. In precedenza non si era mai verificato che ci fossero tre cause diverse di fila in una stessa donna.
Soffro troppo, per un paio d'anni mi lecco le ferite. Poi piano piano capisci che sei umana e non onnipotente, che i figli sono un DONO, un regalo grande che Gesù ti fa e non un diritto acquisito che puoi esercitare quando vuoi.
Mi riprendo, riprendo il mio lavoro e gioisco della felicità della mia piccola ma grande famiglia. Avrei voluto due o tre figli, ne ho una meravigliosa ed invece di guardare indietro a quello che non ho avuto, ho imparato a guardare avanti e a capire la fortuna di essere potuta diventare mamma, anche se, nella realtà, per una volta sola e la fortuna di aver incontrato una persona meravigliosa quale è mio marito. Il resto è storia passata (anche se ogni tanto brucia ancora!!!).
Grazie per la vostra testimonianza,
Stefania