Chi come me
frequentava l’università negli anni ’70 ricorderà il dibattito che alternava un
punto di vista che sembrava utopico , ma non certo nuovo – chi non aveva letto
tra gli altri “Avere o essere” di Eric Fromm? – e quelli che portavano
avanti l’idea della sinistra di uno Stato unico organizzatore delle attività
economiche come alternativa al capitalismo. Sicuramente i critici avevano in
comune l’idea che si dovesse inventare un’economia fatta per la società, e non,
come stava succedendo da oltre cent’anni, una società fatta per
l’economia.
La contrapposizione
economica, sociale, politica e militare tra Stato e mercato ha monopolizzato
tutto il Novecento: dopo la caduta del Muro di Berlino ha vinto il mercato. Con il risultato che la prosperità
economica nei paesi avanzati ha portato
a livelli di infelicità e di insoddisfazione allarmanti .
Ora siamo giunti a un punto in cui è quasi obbligatorio ripensare alla società in termini diversi, per puntare il focus sull’importanza delle relazioni per la felicità umana e quindi cambiare mentalità, valori e stili di vita.
Ora siamo giunti a un punto in cui è quasi obbligatorio ripensare alla società in termini diversi, per puntare il focus sull’importanza delle relazioni per la felicità umana e quindi cambiare mentalità, valori e stili di vita.
Ancora utopia? Come per
tantissime cose che si sono evolute nella storia dell’uomo è importante formare
una massa critica che elabori idee e strategie, ma che soprattutto abbia forti
credenze in questo senso.
Quello che anche gli
psicologi dicono qui è confermato
dall’economista, che con un metodo e un punto di vista diverso, basato su studi
statistici e matematici oltre che fenomenici, fa un’analisi spietata che ci
da la consapevolezza di ciò che molti di noi sanno già, più o meno
consciamente, ma che non sempre vogliamo riconoscere.
Stefano Bartolini è docente di Economia politica ed Economia sociale
all’Università di Siena, autore di numerosi saggi e pubblicazioni in
tutto il mondo, ha corredato il suo libro di una solida bibliografia
internazionale e di un enorme numero di statistiche reperibili nel sito web*.
E’ un libro di facile lettura ma molto intenso per le riflessioni che induce
nel lettore,
La crisi che ha investito il nostro mondo dopo il 2008 ci può far
riflettere sul nostro grado di sottomissione al sistema consumistico: il grado di “sofferenza” che proviamo
all’idea di non poterci più permettere i lussi e i livelli di vita di un tempo
ci fa capire il nostro grado di condizionamento. Siamo succubi o teniamo in
mano saldamente la nostra vita? Sappiamo scegliere quello che è meglio per noi
e per i nostri figli? La crescita non
può essere infinita in un mondo finito. Cambiare stile di vita non vuol
dire vivere come poveri, ma vivere secondo le nostre reali necessità, ognuno le
ha diverse, con la consapevolezza che la vita è nelle nostre mani e,
cominciando da noi stessi, nel nostro piccolo mondo, possiamo diffondere
un’altra idea di mondo, più felice, più giusto, più pulito, più in pace.
Sembra un bollettino
di guerra: negli Stati Uniti la violenza è talmente dilagante che ci arriva
quasi quotidianamente qualche notizia di stragi e sparatorie, come se non
bastassero le dosi massicce che i media americani propinano all’incauto che fa
zapping con valanghe di telefilm e serie violentissime con abbondanza di
immagini horror e trash.
Gli Stati Uniti detengono il primato mondiale per dipendenze
(alcool, droghe, gioco, sesso, psicofarmaci, complusioni all’acquisto), per
malattie mentali, per suicidi adolescenziali, per gli orari di lavoro sempre
più lunghi e impegnativi, per la spesa sanitaria oltre ogni limite del
ragionevole......è tutto estremo negli USA, soprattutto l’INFELICITA’.
Eppure viene sempre da tutti additata come il modello da
imitare, perché a suo favore – si fa così per dire – c’è un elevato tasso di crescita
e di ricchezza economica, anche se nessuno dice mai quanto la sua distribuzione
è diseguale. L’Europa non ha ancora raggiunto i livelli e gli stili di vita
americani, e la popolazione vive un po’ meglio, per ora, tranne gli inglesi,
che mostrano segni preoccupanti di vicinanza con gli standard americani, ma non
è un caso.
In Italia la speranza di vita tra il 1995 e il 2008 è
passata dai 78 agli 81 anni: ottimo risultato! Sì, ma la speranza di vita in
buona salute è passata dai 67 ai 62 anni per gli uomini e da 70 a 61 anni per
le donne. Praticamente dopo i 60 anni si vive di pillole! Malati cronici,
imbottiti di farmaci che arricchiscono le case farmaceutiche e impoveriscono il
bilancio dello stato. Ma perfino le fredde statistiche e gli studi relativi
mettono bene in luce che la gente felice è sana! Quindi la sanità è il punto di
scarico del malessere sociale.
L’organizzazione Mondiale della Sanità prevede che nel 2030
la depressione sarà la malattia più diffusa al mondo.
I bambini sono il bersaglio preferito dalla pubblicità che
li cattura nella culla e li vuole tenere fedeli fino alla tomba, ipnotizzandoli
con continui bombardamenti di pubblicità, anche durante le loro trasmissioni
più apparentemente ingenue e innocue, sui canali loro dedicati, perché
diventino consumatori di prodotti. Che ci sta a fare la pubblicità di una
macchina di lusso tra i cartoni animati? “Gutta
cavat lapidem”, ma i pubblicitari lo sanno bene, si chiama ipnosi! Imprigionati nelle loro case, da soli, davanti
a marchingegni informatici perché fuori non possono giocare in libertà diventano
precocemente alienati e ribelli, in perpetuo conflitto intergenerazionale.
E’ crollata anche la fiducia nella solidarietà,
nell’amicizia, nell’impegno civile: dove maggiore è la diffusione della cultura
del consumo minore è la qualità delle relazioni sociali e della felicità. Dove
le relazioni sociali sono impoverite, maggiore è il ricorso alla “consolazione”
che dà l’acquisto dei beni di consumo . La crescita economica che non tiene
conto delle necessità relazionali dell’uomo crea una società che è destinata al
tracollo. La qualità della vita sociale è il fattore più importante: quale
prezzo siamo disposti a pagare per la ricchezza economica se questo obiettivo
porta inevitabilmente alla distruzione delle relazioni e quindi all’infelicità?
La situazione in Italia dimostra che dagli anni Novanta in
poi la soddisfazione per la propria vita, il benessere e la felicità sono
declinate negli italiani. Contemporaneamente sono aumentate la diseguaglianza
tra i redditi, la flessibilizzazione del mercato del lavoro, la pressione
consumistica sostenuta dai media, il dominio dei grandi affari sulla politica:
ci stiamo americanizzando.
Fortissima è l’insoddisfazione per il lavoro, in cui si dà
importanza a pressione non eccessiva, sicurezza del posto, rispetto,
responsabilità possibilità di esprimere la propria capacità d’iniziativa, di
realizzare qualcosa, buona paga, buoni orari, vacanze adeguate, tutti fattori
che negli ultimi anni sono peggiorati. I giovani ne pagano le conseguenze e
scappano all’estero. Eppure il modello economico italiano basato sulla piccola
e media impresa e l’artigianato di qualità sarebbe il più adatto al modello
dell’economia sociale: la base è buona,ma va rivista secondo nuovi concetti.
Così la politica, ripulendo la corruzione.
Grande difetto degli italiani è lo scoraggiamento; di fronte
alle proposte positive dubitiamo sempre che possano realizzarsi: dilaga un senso di esclusione dalle decisioni
importanti, impotenza e frustrazione sono portate all’estremo, molto più che
negli altri paesi dell’Europa. E anche qui che si deve operare un forte
cambiamento di mentalità.
Politiche per la felicità sono quelle destinate a rendere le
città fruibili dai cittadini, le scuole adatte a sviluppare capacità e
attitudini creative, le imprese dove si lavora con ritmi umani coltivando le
attitudini dei lavoratori, riducendo gli orari di lavoro per lavorare tutti,
rilocalizzare le imprese, la sanità che prevenga e non medicalizzi tutto,
sprecando risorse in cose che non servono a nulla....si potrebbe continuare
all’infinito ma il focus del problema è creare una società che privilegi la
felicità delle persone, grazie al miglioramento delle relazioni tra individui e
nelle famiglie, il rispetto della Natura, la pace.
L’Europa ha la possibilità di respingere il modello dell’american way of life – dice Bartolini -
creando un proprio modello secondo le sue peculiarità, le sue risorse
economiche, culturali e sociali, cambiando il modello politico che è ancora
vecchio stampo, con il complesso di inferiorità nei confronti degli USA, la
contrapposizione tra Stato e mercato, la cieca fiducia nelle capacità
taumaturgiche della crescita economica. Il cambiamento è possibile, occorre trovare
una forte spinta, un evento, anche traumatico che lo metta in moto.
“No, non siamo ancora
fritti” conclude il libro con un battuta da buon toscano.
Nessun commento:
Posta un commento