per "Il vizio di scrivere - Un giallo in venti righe" un agghiacciante racconto "Sotto terra" della giallista Barbara Nittoli
Quando aprì gli occhi la testa le pulsò come sotto i colpi
di un batterista impazzito. Tutto intorno ogni cosa girava, un conato di vomito
le salì alle labbra, si girò alla sua destra e buttò fuori anche l’anima. Fece
per portarsi una mano alla bocca ma non ci riuscì, i polsi erano legati dietro
la schiena, non appena mosse le mani una scossa elettrica di dolore le arrivò
fino alle spalle, ripiegate in una posa innaturale da chissà quanto tempo.
“Dove diavolo sono?”, pensò, “Cosa è successo? Da quanto tempo sono qui?” Il
cuore le martellava impazzito nel petto. Sotto le dita legate sentì l’umidità
del terreno, dietro le spalle e la schiena percepì le forme irregolari e
pungenti di mattoni ruvidi. “Una cantina? Un seminterrato?”.
Un odore acre e nauseante le colpì le narici, strinse gli occhi e quando le pupille si adattarono all’oscurità scorse una figura alla sua sinistra, seduta e legata al muro, proprio come lei. La testa china sul petto, il corpo ancora legato penzolante da un lato. La bocca semiaperta si mosse, come per parlare, ma non uscì nessun suono, solo un insetto nero e lucido, che fece vibrare le lunghe antenne e poi corse via nell’ombra. Un urlo risuonò nella stanza bassa e buia, senza accorgersene aveva spalancato la bocca e gridato tutta la sua disperazione. Vide altri corpi, inerti, alcuni erano ricoperti di larve e insetti, altri marcivano putridi rivelando ossa bianche e lucide sotto brandelli di carne scura. Il forte odore di marcio e morte la fece vomitare di nuovo. Una lucina rossa si accese nell’angolo della stanza. La telecamera vibrò mentre cambiava inquadratura. Al piano superiore lui osservava la sua ultima preda, l’angoscia, il tormento, la sofferenza, mentre gli altri suoi trofei si decomponevano e si consumavano, giorno dopo giorno, riflessi nel suo sguardo eccitato e sadico. La sua anima nera e vuota si nutriva delle loro lacrime, della rabbia, della rassegnazione, perché lui era così. Potente e divino. Non poteva dare la vita, no, ma poteva toglierla, proprio come un predatore, proprio come un dio.
Un odore acre e nauseante le colpì le narici, strinse gli occhi e quando le pupille si adattarono all’oscurità scorse una figura alla sua sinistra, seduta e legata al muro, proprio come lei. La testa china sul petto, il corpo ancora legato penzolante da un lato. La bocca semiaperta si mosse, come per parlare, ma non uscì nessun suono, solo un insetto nero e lucido, che fece vibrare le lunghe antenne e poi corse via nell’ombra. Un urlo risuonò nella stanza bassa e buia, senza accorgersene aveva spalancato la bocca e gridato tutta la sua disperazione. Vide altri corpi, inerti, alcuni erano ricoperti di larve e insetti, altri marcivano putridi rivelando ossa bianche e lucide sotto brandelli di carne scura. Il forte odore di marcio e morte la fece vomitare di nuovo. Una lucina rossa si accese nell’angolo della stanza. La telecamera vibrò mentre cambiava inquadratura. Al piano superiore lui osservava la sua ultima preda, l’angoscia, il tormento, la sofferenza, mentre gli altri suoi trofei si decomponevano e si consumavano, giorno dopo giorno, riflessi nel suo sguardo eccitato e sadico. La sua anima nera e vuota si nutriva delle loro lacrime, della rabbia, della rassegnazione, perché lui era così. Potente e divino. Non poteva dare la vita, no, ma poteva toglierla, proprio come un predatore, proprio come un dio.
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