lunedì 6 agosto 2018

“Il settimo peccato” di Carlo A. Martigli. Recensione di Tiziana Viganò


Figure realmente esistite, spesso famose, papi, re e principi, condottieri, maestri e discepoli, filosofi, artisti e poeti che hanno lasciato importanti tracce. Spesso sono vissuti nel XV-XVI secolo, un periodo caro allo scrittore, che sa raccontarlo con enorme sicurezza di linguaggio 

Recensione di Tiziana Viganò



Storie inventate che scorrono all’interno del quadro della Grande Storia, dipinte con il giallo e nero del thriller: così la fantasia di Carlo A. Martigli crea libri affascinanti che tengono il lettore inchiodato fino all’ultima pagina.

Figure realmente esistite, spesso famose, papi, re e principi, condottieri, maestri e discepoli, filosofi, artisti e poeti che hanno lasciato importanti tracce. Spesso sono vissuti nel XV-XVI secolo, un periodo caro allo scrittore, che sa raccontarlo con enorme sicurezza di linguaggio, di termini, di ambienti e di fatti: ci sentiamo davvero, insieme con lui, dentro la Storia, parliamo con Alessandro VI e Cesare Borgia, Pico della Mirandola, Michelangelo e Leonardo. Con l’eccezione di Sigmund Freud, protagonista dell’originale e attraente “La scelta di Sigmund” (2016, Mondadori) che conduce all’inizio del XX secolo..

Con “Il settimo peccato” (2018, Mondadori) Carlo A. Martigli ci riconduce nella Venezia del 1503,  e ci presenta Giovanni Ciocchi, un giovane ricco, figlio di un noto giurista, Io narrante della vicenda, e il suo magister, l’inquisitore, investigatore e medico-erborista frate Martino da Barga.
Nel rapporto tra magister e discepolo si attua la formazione del ragazzo, il futuro papa Giulio III.
Il trittico della martire crocifissa: olio su tavola di Hieronymus Bosch
Frate Martino, affascinante personaggio dall’intelligenza multiforme, è nominato “avvocato del diavolo”, cioè difensore, del famoso pittore fiammingo Hieronymus Bosch, uomo folle e visionario (anche perché succube dell’erba del diavolo, lo stramonio), che non solo dipingeva quadri pieni di mostri, demoni, streghe, personaggi deformi e ripugnanti oppure ridicoli, ma aveva avuto il coraggio (o la scelleratezza) di dipingere un Cristo in croce con vesti e sembianze femminili (un androgino!) ed era stato così accusato di blasfemia e di eresia.
Il quadro esiste davvero ed è “Trittico della martire crocifissa o di Santa Liberata” (1497 circa) oggi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
A Martino da Barga, fautore del sincretismo religioso, si contrappone Jean de Longueville, inquisitore bigotto e iconoclasta, ipocrita e intransigente, alla ricerca del Male e non della Verità.
Sette omicidi rituali (con una firma, la piuma), che rispecchiano i sette peccati capitali dipinti da Bosch, dovranno essere risolti, l’assassino trovato, la verità e l’ordine ristabiliti. Politica e religione, in eterno conflitto o alleanza.

Venezia non è solo sfondo, ma anche protagonista della vicenda, proprio nel periodo del Carnevale, con calli, piazze e campielli invasi da maschere e personaggi di ogni tipo, con la sua cultura, gli usi e costumi, con l’eleganza dei palazzi di marmo, la raffinatezza ma anche la miseria.

“Venezia stessa era una maschera. Che copriva le difficoltà di un’esistenza sempre all’erta, tra lotte intestine e nemici alle porte, e l’ansia di attendere le navi da cui dipendeva la vita della città e dei suoi abitanti. E che nascondeva verminai impensabili...Tra meno di un anno Venezia sarebbe risorta alle ceneri, e di nuovo tra le calli, i ponti, i porteghi e i canali avrebbe impazzato la sua folle allegria...”

"I sette peccati capitali": olio su tavola
attribuito a Hieronymus Bosch. Madrid, Museo del Prado
Con abilità e disinvoltura, dovuta alla cultura che lui stesso attribuisce alle innumerevoli e approfondite letture della sua vita, lo scrittore introduce nel testo insegnamenti, spiegazioni filosofiche, linguistiche, storiche, etimologia, semeiotica che si integrano perfettamente nella narrazione, senza mai appesantirla, ma rendendola più interessante. È evidente che Martigli si sia divertito a scrivere il libro, che è percorso da umorismo e sottile ironia trasmessi al lettore che si gode ogni pagina.
Il riferimento a “Il nome della rosa” (1980) è segnalato dallo stesso autore che riconosce a Umberto Eco il merito di aver “sdoganato” il romanzo storico riproponendolo al pubblico: oggi è uno dei generi di maggior successo, grazie ad autori d’eccellenza come Carlo A. Martigli.




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