
Recensione di Tiziana Viganò
Storie inventate che scorrono
all’interno del quadro della Grande Storia, dipinte con il giallo e nero del
thriller: così la fantasia di Carlo A. Martigli crea libri affascinanti che
tengono il lettore inchiodato fino all’ultima pagina.
Figure realmente esistite,
spesso famose, papi, re e principi, condottieri, maestri e discepoli, filosofi,
artisti e poeti che hanno lasciato importanti tracce. Spesso sono vissuti nel XV-XVI
secolo, un periodo caro allo scrittore, che sa raccontarlo con enorme sicurezza
di linguaggio, di termini, di ambienti e di fatti: ci sentiamo davvero, insieme
con lui, dentro la Storia, parliamo con Alessandro VI e Cesare Borgia, Pico
della Mirandola, Michelangelo e Leonardo. Con l’eccezione di Sigmund Freud,
protagonista dell’originale e attraente “La scelta di Sigmund” (2016,
Mondadori) che conduce all’inizio del XX secolo..
Con “Il settimo peccato” (2018,
Mondadori) Carlo A. Martigli ci riconduce nella Venezia del 1503, e ci presenta Giovanni Ciocchi, un giovane
ricco, figlio di un noto giurista, Io narrante della vicenda, e il suo magister, l’inquisitore, investigatore e
medico-erborista frate Martino da Barga.
Nel rapporto tra magister e discepolo si attua la
formazione del ragazzo, il futuro papa Giulio III.
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Il trittico della martire crocifissa: olio su tavola di Hieronymus Bosch |
Frate Martino, affascinante
personaggio dall’intelligenza multiforme, è nominato “avvocato del diavolo”,
cioè difensore, del famoso pittore fiammingo Hieronymus Bosch, uomo folle e
visionario (anche perché succube dell’erba
del diavolo, lo stramonio), che non solo dipingeva quadri pieni di mostri,
demoni, streghe, personaggi deformi e ripugnanti oppure ridicoli, ma aveva
avuto il coraggio (o la scelleratezza) di dipingere un Cristo in croce con
vesti e sembianze femminili (un androgino!) ed era stato così accusato di
blasfemia e di eresia.
Il quadro esiste davvero ed è “Trittico
della martire crocifissa o di Santa Liberata” (1497 circa) oggi alle Gallerie
dell’Accademia di Venezia.
A Martino da Barga, fautore del
sincretismo religioso, si contrappone Jean de Longueville, inquisitore bigotto
e iconoclasta, ipocrita e intransigente, alla ricerca del Male e non della
Verità.
Sette omicidi rituali (con una
firma, la piuma), che rispecchiano i sette peccati capitali dipinti da Bosch, dovranno
essere risolti, l’assassino trovato, la verità e l’ordine ristabiliti. Politica
e religione, in eterno conflitto o alleanza.
Venezia non è solo sfondo, ma
anche protagonista della vicenda, proprio nel periodo del Carnevale, con calli,
piazze e campielli invasi da maschere e personaggi di ogni tipo, con la sua
cultura, gli usi e costumi, con l’eleganza dei palazzi di marmo, la
raffinatezza ma anche la miseria.
“Venezia stessa era una
maschera. Che copriva le difficoltà di un’esistenza sempre all’erta, tra lotte
intestine e nemici alle porte, e l’ansia di attendere le navi da cui dipendeva
la vita della città e dei suoi abitanti. E che nascondeva verminai
impensabili...Tra meno di un anno Venezia sarebbe risorta alle ceneri, e di
nuovo tra le calli, i ponti, i porteghi e i canali avrebbe impazzato la sua
folle allegria...”
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"I sette peccati capitali": olio su tavola attribuito a Hieronymus Bosch. Madrid, Museo del Prado |
Con abilità e disinvoltura,
dovuta alla cultura che lui stesso attribuisce alle innumerevoli e approfondite
letture della sua vita, lo scrittore introduce nel testo insegnamenti,
spiegazioni filosofiche, linguistiche, storiche, etimologia, semeiotica che si
integrano perfettamente nella narrazione, senza mai appesantirla, ma rendendola
più interessante. È evidente che Martigli si sia divertito a scrivere il libro,
che è percorso da umorismo e sottile ironia trasmessi al lettore che si gode
ogni pagina.
Il riferimento a “Il nome della
rosa” (1980) è segnalato dallo stesso autore che riconosce a Umberto Eco il
merito di aver “sdoganato” il romanzo storico riproponendolo al pubblico: oggi
è uno dei generi di maggior successo, grazie ad autori d’eccellenza come Carlo
A. Martigli.
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