mercoledì 8 giugno 2016

Nebbia a Milano: racconto di Marina Fichera per Il Vizio di scrivere

Per "Il Vizio di scrivere" - Biblioteca di Rescaldina, 17 aprile 2016 - sull' argomento sorteggiato "Opposti" Marina Fichera ha scritto questo racconto ambientato a Porta Venezia, Milano.

Quel giorno di Novembre del 1970 su Milano incombeva un impenetrabile nebbione autunnale. E io rischiai di non nascere.
Ma com’è possibile vivere in questa città! Nonostante fosse a Milano da oltre dieci anni Agata non si era ancora abituata. Mal sopportava la fitta caligine che avvolgeva la città da Ottobre fino ai primi di Gennaio, quando il gelo era talmente intenso che persino la nebbia scappava.
Aveva ancora nostalgia del suo paesino del Sud. Quel Sud che aveva lasciato da piccola, quando i suoi genitori erano venuti a cercare fortuna nel profondissimo Nord.
Ma quale fortuna se poi erano costretti a vivere in una catapecchia umida e triste, tra la nebbia autunnale, i ghiaccioli sulle grondaie arrugginite d’inverno e gli sciami estivi di zanzare grandi che sembravano piccioni.  L’unica fortuna che aveva avuto fino a quel momento era stata di incontrare Luigi. Lui era un bravo ragazzo, milanese – nessuno è perfetto – e lei pensava che sarebbero stati felici insieme, anche a Milano.
Ma quanto è bella e moderna questa città! Luigi adorava la sua Milano. Era nato a Gorla, nella periferia popolare a nord della città, e si sentiva orgoglioso dell’operosità, della modernità e dell’aria frizzante e “alla moda” che ogni tanto andava a respirare in quella che per lui era la piazza più bella del mondo, la piazza del Duomo. Si considerava fortunato, anche se abitava in una casa sempre umida, gelida d’inverno e infuocata d’estate, sul Naviglio della Martesana. Adorava la nebbia autunnale che avvolgeva tutte le cose e annullava le ombre. Amava il freddo pungente dell’inverno che lo faceva sentire vivo quando la mattina andava a lavorare in officina. Le zanzare erano l’unico punto dolente, ma tanto tornava presto la nebbia e le disgraziate perdevano la strada. E poi era felice ultimamente, la sua Agata era bellissima. Certo era del Sud - nessuno è perfetto - ma pensava che sarebbero stati felici insieme, nella sua Milano.
Sabato pomeriggio alle quattro e mezza ai bastioni di Porta Venezia, alla fermata del tram 9, quella vicino ai bagni pubblici. Agata arrivava dalla Barona, a sud-ovest, Luigi da nord, era un ottimo punto per un appuntamento.
Oggi c’è ancora più nebbia del solito, non si vede un accidente, pensava Agata sul tram sferragliante. La nebbia era talmente fitta che aveva invaso i polmoni dei passeggeri e i suoi pensieri.  Aveva ancora nostalgia del mare e del Golfo di Napoli. Le mancavano il sole e il grande vulcano che osservava tutti come un vecchio padre. Nella sua città d’origine mancava il lavoro e c’era ancora una miseria nera e invadente come una vecchia matrigna, mentre a Milano il lavoro non mancava ma era tutto piatto e non c’era neanche il mare. Certe stagioni c’era solo la nebbia che si intrufolava in tutti i pertugi, indiscreta e invadente come una comare troppo pettegola.
Si risvegliò dai suoi pensieri quando l’autista, che annunciava le fermate vista l’evidente difficoltà a individuarle, gridò “Porta Venezia!”. Quando vide, a malapena, il predellino sgusciare da sotto il tram la malinconia divenne dolce agitazione.
Oggi c’è davvero un gran bel nebbiun! Luigi sentiva la nebbia e lo smog che gli avviluppavano i bronchi, respirò. Che se ne faceva del sole e del mare quella gente del Sud che mica aveva tanta voglia di lavorare, la sua era una città industriosa! E poi che fascino i bei palazzi del centro. In quel momento li poteva solo immaginare e ne ebbe quasi nostalgia. Palazzi austeri e grigi, sicuri e solidi, che se ne stavano come un vecchio padre a osservare la gente che correva indaffarata per le strade. Era indubbio che quei palazzi fossero abitati da persone che a lui rivolgevano a malapena la parola, anzi in effetti non aveva mai parlato con qualcuno di quella sorridente borghesia meneghina che controllava la vita economica e sociale della città come una vecchia matrigna.
Non ebbe il tempo di sviluppare quel pensiero comunista, il bus era arrivato a destinazione. “Fermata Porta Venezia!” gridò il conducente. Luigi posò i piedi sul marciapiede e una strana sensazione di  turbamento  lo assalì.  
Sono le cinque meno un quarto, ma dove sarà finito Luigi, non avrà mica cambiato idea? Agata era scesa dal tram ed era rimasta in attesa sulla banchina del 9. La visibilità era molto vicina a zero, perciò aveva deciso di non muoversi da lì. Il buio stava prendendo il sopravvento, si vedeva solo qualche fioca luce di lampioni di cui non riusciva a capire la distanza. Non sopportava i ritardi, erano mancanza di rispetto per la persona che si faceva attendere, ma per il suo Luigi era disposta a chiudere un occhio. Arrivò un tram e un passeggero scendendo la urtò senza scrupoli e tanto meno scuse “Vada via i ciapp, che ci fa qui!” . Aveva le ossa zuppe di umido e anche un po’ paura.
Sono le cinque meno dieci, ma dove sarà finita Agata, spero non abbia cambiato idea! Luigi aveva attraversato l’incrocio ed era sulla banchina del tram 9, dove avevano concordato di vedersi. La nebbia era davvero una di quelle storiche. Pensò che fosse un incoraggiamento della sua città,  un abbraccio che avrebbe avvolto Agata e lui nell’attimo in cui lei fosse finalmente arrivata. Non sopportava i ritardi, che inutile perdita di produttività e tempo, ma per la sua Agata era disposto a chiudere un occhio. Arrivò un tram e non scese nessuno,  iniziava a sentire che gli si intorpidivano i piedi e aveva anche un po’ paura.
 Attendo fino alle cinque e un quarto e poi me ne vado! Agata iniziava a innervosirsi. Dannata nebbia e dannati i milanesi che amavano quel grigio inferno. E anche quel furfante di Luigi, che l’aveva quasi convinta che Milano fosse una bellissima città dove vivere insieme, metter su famiglia e allevare tanti bambini che si sarebbero chiamati Gennaro e Carmine e poi, poi non so. E tutti avrebbero corso nei campi lungo il Naviglio, in un futuro forse avvolto dalla nebbia, ma almeno dignitoso.
Attendo fino alle cinque e mezza e poi me ne vado! Luigi era arrabbiato. Iniziò a pensare che avrebbe dovuto capirlo. Agata era una di cui non ci si poteva fidare, una terrona, altro che tutte le belle ragazze milanesi che conosceva. E pensare che ci credeva veramente all’idea di dividere una bella casetta sul Naviglio e metter su famiglia, e allevare tanti bambini, Carlo, Ambrogio, e forse Luigina. Tutti felici e moderni nella bella Milano industriale, dal futuro limpido e chiaro. Decise di attendere ancora qualche minuto, poi avrebbe attraversato nuovamente la strada per tornare in bus a Gorla.
Agata, spazientita, attraversò i binari per riprendere il tram 9 nella direzione opposta e tornare a casa. Non si vedeva davvero più nulla. Andò a sbattere contro una persona.
“Mi scusi, la nebbia è troppo fitta, non l’ho vista!”
“Agata!! Ma son tre quarti d’ora che ti aspetto!”
Arrivati a pochi centimetri l’una dall’altro si scorsero e capirono che avevano atteso tutto quel tempo ciascuno sul lato opposto della banchina, alla fermata del 9. In un attimo ogni tensione e ogni pensiero si dispersero come se un colpo di vento avesse spazzato via la nebbia e con essa le loro paure. Tutto fu luminoso come in un giorno d’estate italiano.  

Io nacqui nel novembre del 1972. Raccontano che fu un giorno leggendario in cui la nebbia si tagliava con il machete.

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