Per "Il Vizio di scrivere" - Biblioteca di Rescaldina, 17 aprile 2016 - sull' argomento sorteggiato "Opposti" Marina Fichera ha scritto questo racconto ambientato a Porta Venezia, Milano.
Quel giorno di Novembre del 1970 su Milano incombeva un impenetrabile nebbione autunnale. E io rischiai di non nascere.
Ma com’è possibile vivere in questa
città! Nonostante fosse a Milano da oltre dieci anni Agata non
si era ancora abituata. Mal sopportava la fitta caligine che avvolgeva la città
da Ottobre fino ai primi di Gennaio, quando il gelo era talmente intenso che
persino la nebbia scappava.
Aveva ancora nostalgia del suo paesino del Sud. Quel Sud che aveva lasciato da piccola, quando i suoi genitori erano venuti a cercare fortuna nel profondissimo Nord.
Ma quale fortuna se poi erano costretti a vivere in una catapecchia umida e triste, tra la nebbia autunnale, i ghiaccioli sulle grondaie arrugginite d’inverno e gli sciami estivi di zanzare grandi che sembravano piccioni. L’unica fortuna che aveva avuto fino a quel momento era stata di incontrare Luigi. Lui era un bravo ragazzo, milanese – nessuno è perfetto – e lei pensava che sarebbero stati felici insieme, anche a Milano.
Aveva ancora nostalgia del suo paesino del Sud. Quel Sud che aveva lasciato da piccola, quando i suoi genitori erano venuti a cercare fortuna nel profondissimo Nord.
Ma quale fortuna se poi erano costretti a vivere in una catapecchia umida e triste, tra la nebbia autunnale, i ghiaccioli sulle grondaie arrugginite d’inverno e gli sciami estivi di zanzare grandi che sembravano piccioni. L’unica fortuna che aveva avuto fino a quel momento era stata di incontrare Luigi. Lui era un bravo ragazzo, milanese – nessuno è perfetto – e lei pensava che sarebbero stati felici insieme, anche a Milano.
Ma quanto è bella e moderna questa
città! Luigi adorava la sua Milano. Era nato a Gorla, nella
periferia popolare a nord della città, e si sentiva orgoglioso dell’operosità,
della modernità e dell’aria frizzante e “alla moda” che ogni tanto andava a
respirare in quella che per lui era la piazza più bella del mondo, la piazza
del Duomo. Si considerava fortunato, anche se abitava in una casa sempre umida,
gelida d’inverno e infuocata d’estate, sul Naviglio della Martesana. Adorava la
nebbia autunnale che avvolgeva tutte le cose e annullava le ombre. Amava il
freddo pungente dell’inverno che lo faceva sentire vivo quando la mattina
andava a lavorare in officina. Le zanzare erano l’unico punto dolente, ma tanto
tornava presto la nebbia e le disgraziate perdevano la strada. E poi era felice
ultimamente, la sua Agata era bellissima. Certo era del Sud - nessuno è
perfetto - ma pensava che sarebbero stati felici insieme, nella sua Milano.
Sabato
pomeriggio alle quattro e mezza ai bastioni di Porta Venezia, alla fermata del tram
9, quella vicino ai bagni pubblici. Agata arrivava dalla Barona, a sud-ovest, Luigi
da nord, era un ottimo punto per un appuntamento.
Oggi c’è ancora più nebbia del solito,
non si vede un accidente, pensava Agata sul tram sferragliante.
La nebbia era talmente fitta che aveva invaso i polmoni dei passeggeri e i suoi
pensieri. Aveva ancora nostalgia del
mare e del Golfo di Napoli. Le mancavano il sole e il grande vulcano che
osservava tutti come un vecchio padre. Nella sua città d’origine mancava il lavoro
e c’era ancora una miseria nera e invadente come una vecchia matrigna, mentre a
Milano il lavoro non mancava ma era tutto piatto e non c’era neanche il mare.
Certe stagioni c’era solo la nebbia che si intrufolava in tutti i pertugi,
indiscreta e invadente come una comare troppo pettegola.
Si
risvegliò dai suoi pensieri quando l’autista, che annunciava le fermate vista
l’evidente difficoltà a individuarle, gridò “Porta Venezia!”. Quando vide, a
malapena, il predellino sgusciare da sotto il tram la malinconia divenne dolce
agitazione.
Oggi c’è davvero un gran bel nebbiun! Luigi
sentiva la nebbia e lo smog che gli avviluppavano i bronchi, respirò. Che se ne
faceva del sole e del mare quella gente del Sud che mica aveva tanta voglia di
lavorare, la sua era una città industriosa! E poi che fascino i bei palazzi del
centro. In quel momento li poteva solo immaginare e ne ebbe quasi nostalgia.
Palazzi austeri e grigi, sicuri e solidi, che se ne stavano come un vecchio
padre a osservare la gente che correva indaffarata per le strade. Era indubbio
che quei palazzi fossero abitati da persone che a lui rivolgevano a malapena la
parola, anzi in effetti non aveva mai parlato con qualcuno di quella sorridente
borghesia meneghina che controllava la vita economica e sociale della città
come una vecchia matrigna.
Non
ebbe il tempo di sviluppare quel pensiero comunista,
il bus era arrivato a destinazione. “Fermata Porta Venezia!” gridò il
conducente. Luigi posò i piedi sul marciapiede e una strana sensazione di turbamento
lo assalì.
Sono le cinque meno un quarto, ma dove
sarà finito Luigi, non avrà mica cambiato idea? Agata
era scesa dal tram ed era rimasta in attesa sulla banchina del 9. La visibilità
era molto vicina a zero, perciò aveva deciso di non muoversi da lì. Il buio
stava prendendo il sopravvento, si vedeva solo qualche fioca luce di lampioni
di cui non riusciva a capire la distanza. Non sopportava i ritardi, erano
mancanza di rispetto per la persona che si faceva attendere, ma per il suo
Luigi era disposta a chiudere un occhio. Arrivò un tram e un passeggero
scendendo la urtò senza scrupoli e tanto meno scuse “Vada via i ciapp, che ci
fa qui!” . Aveva le ossa zuppe di umido e anche un po’ paura.
Sono le cinque meno dieci, ma dove sarà
finita Agata, spero non abbia cambiato idea! Luigi aveva
attraversato l’incrocio ed era sulla banchina del tram 9, dove avevano
concordato di vedersi. La nebbia era davvero una di quelle storiche. Pensò che
fosse un incoraggiamento della sua città,
un abbraccio che avrebbe avvolto Agata e lui nell’attimo in cui lei
fosse finalmente arrivata. Non sopportava i ritardi, che inutile perdita di
produttività e tempo, ma per la sua Agata era disposto a chiudere un occhio.
Arrivò un tram e non scese nessuno,
iniziava a sentire che gli si intorpidivano i piedi e aveva anche un po’
paura.
Attendo
fino alle cinque e un quarto e poi me ne vado! Agata iniziava a
innervosirsi. Dannata nebbia e dannati i milanesi che amavano quel grigio inferno.
E anche quel furfante di Luigi, che l’aveva quasi convinta che Milano fosse una
bellissima città dove vivere insieme, metter su famiglia e allevare tanti
bambini che si sarebbero chiamati Gennaro e Carmine e poi, poi non so. E tutti avrebbero
corso nei campi lungo il Naviglio, in un futuro forse avvolto dalla nebbia, ma
almeno dignitoso.
Attendo fino alle cinque e mezza e poi
me ne vado! Luigi era arrabbiato. Iniziò a pensare che avrebbe
dovuto capirlo. Agata era una di cui non ci si poteva fidare, una terrona,
altro che tutte le belle ragazze milanesi che conosceva. E pensare che ci
credeva veramente all’idea di dividere una bella casetta sul Naviglio e metter
su famiglia, e allevare tanti bambini, Carlo, Ambrogio, e forse Luigina. Tutti
felici e moderni nella bella Milano industriale, dal futuro limpido e chiaro.
Decise di attendere ancora qualche minuto, poi avrebbe attraversato nuovamente
la strada per tornare in bus a Gorla.
Agata,
spazientita, attraversò i binari per riprendere il tram 9 nella direzione
opposta e tornare a casa. Non si vedeva davvero più nulla. Andò a sbattere
contro una persona.
“Mi
scusi, la nebbia è troppo fitta, non l’ho vista!”
“Agata!!
Ma son tre quarti d’ora che ti aspetto!”
Arrivati
a pochi centimetri l’una dall’altro si scorsero e capirono che avevano atteso
tutto quel tempo ciascuno sul lato opposto della banchina, alla fermata del 9.
In un attimo ogni tensione e ogni pensiero si dispersero come se un colpo di
vento avesse spazzato via la nebbia e con essa le loro paure. Tutto fu luminoso
come in un giorno d’estate italiano.
Io
nacqui nel novembre del 1972. Raccontano che fu un giorno leggendario in cui la
nebbia si tagliava con il machete.
grazie Tiziana!
RispondiEliminaMarina