Per "Il Vizio di scrivere" - Biblioteca di Rescaldina, 17 aprile 2016 - sull' argomento sorteggiato "la normalità" Orsetta Sophie Giordo ha scritto questo racconto metaforico ricco di fresche immagini.
Le indicazioni stradali che aveva in tasca e
che aveva studiato nei minimi dettagli prima di partire, avrebbero dovuto
portarla a destinazione senza alcun problema. Avrebbero dovuto condurla in
tempo a casa dei suoi amici e permetterle di dare inizio ad un lungo, normale weekend
di risate, relax e chiacchiere spensierate che da giorni stava aspettando con
trepidazione.
Era normale per lei avere degli orari, dei
programmi ben precisi da rispettare con la meticolosità di una lancetta su un
quadrante, avere in testa sogni e prospettive, una strada liscia e ben distesa
avanti a sé da percorrere già sapendo a quali bivi svoltare, a quali incroci
fermarsi e per quanto tempo; il passato alle spalle, il rumore dei passi fatti
un lontano ticchettìo.
Quella mattina aveva messo la sveglia,
indossato gli abiti che aveva preparato la sera prima dopo un’attenta scelta
tra le nuances di colore che l’armadio le offriva, aveva fatto colazione ed era
partita in orario sulla sua tabella di marcia. Aveva rispettato le soste
previste e si era anche rallegrata che un fresco sole primaverile accompagnasse
la sua guida… “come da programma”- pensò -, “tutto nella norma”.
Poi giunse a quel bivio - l’ultimo segnato
sulla sua cartina -, seguì le indicazioni e svoltò a sinistra.
E fu solo dopo aver percorso un faticoso e
tortuoso tratto di strada che un dubbio atroce iniziò a pervadere i suoi
pensieri: c’era qualcosa di sbagliato, non poteva essere quella la direzione,
non poteva essere la strada giusta. A quel punto, dai suoi programmi, sarebbe
dovuta essere quasi giunta a destinazione, davanti a lei si sarebbe dovuta
aprire una distesa verde e assolata, una valle ondulata come una coperta al
vento.
Intorno invece aveva soltanto un dedalo di
fitti alberi altissimi che disegnavano ombre lunghe e imponenti, avanti a sé una
strada sempre più stretta con curve sempre più spigolose come tante braccia
piegate, gomiti da smussare. Sola, avvolta da una nebbia di silenzio, realizzò
che forse aveva sbagliato strada… vi era qualcosa di anormale intorno a lei…
non sapeva dire con precisione che cosa fosse… ma ne era certa.
Si fermò, prese il telefono dalla borsa per
chiamare i suoi amici e si accorse che non c’era campo, guardò l’orologio che
aveva al polso e notò con preoccupazione che si era fermato. La lancetta dei
secondi era ferma, come in attesa, come sospesa, inerme; quella delle ore e quella
dei minuti segnavano ancora l’ora in cui era partita. Non sapeva che fare,
cercò di pensare più in fretta possibile, il cuore in gola, anche la luce
diffusa dal sole sembrava stranamente uniforme, copriva tutto, le entrava negli
occhi e nel cuore con placida irriverenza.
Cercò di ritrovare lucidità, mise in moto la
macchina e decise che avrebbe continuato ad andare avanti, avrebbe trovato un
cartello, magari un bar dal quale chiamare i suoi amici, avvisare del ritardo,
qualcuno a cui chiedere indicazioni. Proseguì.
Fu così che arrivò, dopo un tempo
indefinibile, ad una radura, una grande piazza erbosa disseminata di tavoli
tondi sui quali erano state adagiate tovaglie dai colori sgargianti, punti di luce
nel verde.
Tutto intorno bambini schiamazzanti, donne e
uomini di ogni età, strani personaggi vestiti di colore e sorrisi che parlavano
e mangiavano, ridevano, prendevano il sole, leggevano e si baciavano gli uni gli
altri con naturalezza, come se quello fosse l’unico modo che avevano per stare
insieme, per viversi e trascorrere il loro tempo.
“Ma in che posto sono capitata”- si disse tra
sé e sé. Si avvicinò all’allegro gruppo e chiese dove fosse, che ora fosse. Gli
sguardi che ricevette furono attoniti, occhi fissi che non sapevano cosa
rispondere, che si domandavano il perché di quelle strane domande.
Solo una donna che in testa aveva un turbante
arancione e decine di braccialetti sonanti ai polsi dette voce ai suoi
pensieri: “Sei dove dovevi essere, perché non ti unisci a noi?”- disse.
“Ma io.. veramente.. dove sono? Dovrei
chiamare i miei amici che mi stanno aspettando, credo di essermi persa”. Niente
le sembrava normale, a tratti credeva di essere in un sogno… ma non riusciva a
svegliarsi.
“Vieni, le ripeté la donna con dolcezza. Non
essere spaventata.” E lei, quasi ammaliata, quasi rapita, la seguì.
E fu così che si sedette a tavola con loro,
fu coinvolta nei discorsi, si fece strada tra gli sguardi senza bisogno di
presentarsi, senza alcuna formalità, quasi la stessero aspettando. E non sapeva
come, non sapeva spiegarsi il perché, ma iniziò a rilassarsi, ad abbandonare
l’ansia del tempo, dello spazio, del sapere a tutti i costi, della morsa del
controllo su se stessa e su gli altri.
Il sole continuava ad abbacinare i pensieri
con la sua luce, perfino le ombre sembravano camminare lontano dai corpi da cui
promanavano, come vivessero di vita propria, come fossero anime danzanti in
mezzo a tutta quella pace ridente che era quasi tangibile, quasi afferrabile
accanto a loro.
Anche il tempo le sembrava non andare per il
verso giusto. Fino ad allora aveva pensato che fosse normale credere, dare per
scontato che il passato vivesse alle spalle mentre il futuro correva libero
davanti agli occhi, veloce e scattante per non farsi prendere.
Eppure, lì in quella radura colorata immersa
nel sole, il tempo le sembrava non esistere, le sembrava non contare, le
sembrava un cerchio su cui non esisteva direzione, una ripetizione di attimi
che si susseguivano nella loro irripetibilità.
Tutto ciò che fino ad allora le era sembrata
la normalità, la placida certezza in cui trascorreva i suoi giorni iniziò a
sciogliersi, a diradarsi, a sembrarle lontana, sempre più inafferrabile.
E anche lei, piano piano, iniziò ad
allentarsi, a rilassare i nervi, i muscoli, le spalle ed i pensieri. Tutte le
sue certezze, gli schemi, le stanze protettive in cui si era rifugiata fino ad
allora, persero di consistenza, si trasformarono in conchiglie piombate sul
fondo del mare.
Solo un frammento di un pensiero ormai
esausto emerse sulla superficie delle onde della mente… “la norma, ciò che
esiste per legge, ciò che è prescritto per diritto e per uso, ciò che segna i
confini della tranquillizzante normalità, forse altro non è che il modo che
abbiamo per vivere senza domande cui rispondere, camminando a schiena dritta,
senza timore di cadere, anime di soldatini in fila indiana…”…poi
scivolò via, trasportato dalla corrente.
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