Incipit di un'indagine del maresciallo Adelio Rusconi in "Sinfonia nera in quattro tempi", Una mente in nero, storia di una coppia dove i giochi di potere e l'incapacità di gestire la dipendenza portano a conseguenze tragiche e a una catena di omicidi che daranno filo da torcere al maresciallo legnanese.
Una cascata di capelli lunghissimi, mossi e
lucenti, di un colore splendido, quello della buccia delle castagne, si
incendiava di rosso alla luce del sole che entrava dalla finestra: della donna
seduta alla scrivania si potevano vedere solo quella massa scura e luminosa
insieme, due spalle curve come quelle di una vecchia o di chi si porta addosso
il peso del mondo, le mani che proteggevano il viso dalla luce. Stava scrivendo
e singhiozzava forte: le lacrime scendevano a bagnare il foglio.
Pian piano si calmò, continuò a scrivere, fece
il punto finale sulla sua opera guardandola a lungo, poi si spostò davanti al
pc portatile per copiare gli ultimi fogli scritti a mano. Si ravviò i capelli
con le dita, li arrotolò e fissò in alto con una matita: finalmente il viso era
libero.
Anna aveva una pelle bianchissima, efelidi sul
naso e sulle guance, lineamenti di una donna ottocentesca dipinta dai
Preraffaelliti, occhi verdi da gatta orientale ora arrossati e circondati dagli
aloni neri del trucco sciolto delle lacrime.
Aveva ormai svuotato la sua anima e percepiva
se stessa come dentro una bolla, che la difendeva e la proteggeva, ma non
lasciava entrare né uscire nulla, come se fosse bloccata in un mondo dove solo
lei esisteva.
Ora il suo libro era proprio finito, rilesse il
finale appena copiato, lo stampò tutto in due copie e, senza più guardarlo,
infilò i plichi in due buste, scrisse a mano gli indirizzi e il mittente, mise
i francobolli adatti: li avrebbe portati subito all’ufficio postale. Scrisse
anche due @mail alle Direzioni Editoriali di due note Case Editrici, allegò i
file e cliccò l’invio.
Con la fatica di una vecchia signora dolorante
per gli acciacchi, andò in bagno a lavarsi la faccia, truccarsi e vestirsi:
sarebbe andata in fretta alla posta, era sabato e mancava poco alla chiusura,
poi di corsa dalla nonna a prendere Mauro, il figlio di tre anni. Guardò l’ora
e pensò di fare una telefonata con il cellulare. Nessuna risposta.
L’elegante studio, aveva i soffitti alti
decorati con stucchi centenari, il pavimento di legno antico, scaffali stipati
di libri dal soffitto al pavimento, un divano rosso sangue e un tappeto
persiano in tinta, quadri preziosi alle pareti, tutti ritratti a olio. Alla
scrivania era seduto un uomo in una
posa rigida e fissa: tutt’intorno un silenzio assoluto e sospeso, che dava alla
scena un senso drammatico, pur nella cornice elegante e opulenta.
Paolo De’ Carli aveva una bella massa di
capelli bianchissimi, lunghi e un po’ arricciati sul collo, un volto con i
lineamenti irregolari, occhi di uno strano blu cobalto, freddo come un mare
nordico, incorniciati da un paio di occhiali dello stesso colore e da una
raggiera di rughine, la mandibola pronunciata un po’ nascosta dalla barba
bianca che lasciava vedere una bocca dura e sottile incorniciata da pieghe, ora
accentuate perché strette dalla rabbiosa esasperazione da cui si sentiva
invaso.
Lottava contro qualcuno che cercava di
opprimerlo, manipolarlo… di invaderlo. Lui che da sempre era abituato a
dominare, ad avere in pugno le situazioni, ad essere sempre il primo e l’unico.
Si alzò di scatto facendo ribaltare la grande
poltrona rossa della scrivania, cominciò a camminare in tondo nello studio a
passi pesanti, come un leone in gabbia, passandosi nervosamente le mani tra i
capelli.
Aveva una figura armoniosa per i suoi
sessant’anni, elegante e curato negli abiti morbidi e comodi che rivelavano
buon gusto nel taglio e nei tessuti pregiati. Ma c’era un’energia primordiale
pronta a esplodere sotto quella finta perfezione formale del corpo e dei
lineamenti. Si avventò contro i grandi cuscini appoggiati al divano,
cominciando a scaricare pugni selvaggi e urlando con tutto il fiato che aveva
disponibile.
Nessuno accorse a quelle grida: la porta era
imbottita e le pareti nascondevano pannelli insonorizzanti. Sembrava che il suo
sfogo da belva scatenata non finisse mai: ma finalmente crollò ansimando,
emettendo dalla gola un suono rauco e rotto, e giacque immobile sul tappeto.
...continua....
incipit tratto da "Sinfonia nera in quattro tempi"
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