10 gennaio 2016 - Seconda giornata tra scrittori a
Rescaldina (Mi) IL VIZIO DI SCRIVERE –Sull’argomento "Lo chef" Mauro
Tonveronachi ha scritto questo racconto sulla cucina dei tempi andati, così
buona, semplice, genuina.
pagina facebook: Il vizio di scrivere (prossima giornata in
aprile, seguiteci!)
Lo chef, si sa, è il boss della cucina dei grandi
ristoranti, anche qui alla Tela ce n'è uno. Masterchef è poi un noto programma
televisivo sull'argomento ma non è certo il solo: la cucina ed il cibo in
genere sono un argomento di grande interesse che viene sviscerato con diete
povere o ricche di qualcosa, il problema della fame nel mondo, non ultima
proprio in Italia, nella nostra Milano, s'è appena tenuto Expo proprio sul cibo e la sua
equa ripartizione.
Da piccolo, per me lo chef era
mio nonno, quello che bastonò il cane che mi aveva morso, che si stimava quando
gli scrivevo delle lettere, che mi faceva alzare all’alba per andare con lui,
col camion, e mettermi poi sulle sue ginocchia per farmelo guidare quando, al
ritorno, eravamo sulla ‘nostra strada’. Erano gli ultimi chilometri di un
strada di campagna piena di curve che conduceva ad un piccolo paesino di forse
cinquecento anime, con due uniche strade: quella che attraversava il paese e
‘la variante’ che lo costeggiava e portava in montagna. Lì tutti avevano un
soprannome e, la sera, erano soliti sedersi sulle panchine o sulle sedie messe
fuori casa e parlare dei fatti della giornata. A quei tempi, proprio in centro,
c’era ancora la casa di un contadino che lavorava per dei signorotti d’Ancona
e, al posto dei nostri garage, aveva la stalla con le mucche e una stanzettina
con le galline. La figlia portava in giro per le famiglie il latte appena munto
mentre le mosche erano il partito di maggioranza. A quei tempi, solo nella
locanda di mio nonno c’era la televisione e la gente arrivava a vederla la
sera, mentre i vecchi giocavano a tresette: busso, striscio, ‘sola’ e per
Pasqua si giocava a tirare il panforte sul tavolo: chi lo tirava più vicino
alla fine del tavolo, senza che cadesse, vinceva. Che dire poi del tiro della
caciotta, che veniva arrotolata con lo spago e tirata sulla strada in salita e
con una curva o della famosa caciotta di mio zio che, seduto bello fresco sotto
un albero in un pomeriggio d’estate, se la mangiò tutta e, non contento, alla
fine si mangiò pure le croste... E poi battere il grano da questo o da quello e
dopo, la sera, una gran mangiata e conseguente bevuta. Ed alzarsi alle quattro
del mattino per andare a funghi e vedere l’alba in montagna tra gli alberi, con del pane in
bocca e il Baffetto che, per paura che fossero velenosi, li faceva assaggiare
prima alla moglie non si sa perché, era così acida che tanto era immune o forse
per farla fuori per ‘errore’. Già, a quei tempi succedevano quelle cose e mio
nonno ne era al centro col suo camion e la sua locanda. Allora non c'era il
menù alla carta: ravioli con ricotta e spinaci e poi polli, conigli, piccioni,
anatre e le verdure del campo. Ricordo che per prendere la ricotta si andava da
un contadino che abitava su di una collinetta e non voleva nemmeno denaro ma
altri generi alimentari: il baratto in pratica...
Una sera d'estate ricordo che ci
fu anche un episodio goliardico: dopo aver battuto a calcio la squadra del
paese vicino, nottetempo vi andammo in macchina a fari spenti spargendo sulla
via principale le piume delle galline spennate quel giorno.
Ribadisco, sarò anche un rozzo ma
non ho mai mangiato meglio che in quella locanda e per me mio nonno era lo chef
del paese.
Ma forse in ciò ci sono anche
significati più profondi: a mio parere lo chef non deve essere solo quello che
'sa' di cucina ma colui che sa far star bene le persone innanzitutto con cibi
genuini e poi con estro, fantasia e comunicazione.
Cibo è piacere, è vita, vivere
bene vuol dire anche mangiar bene...
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