10 gennaio 2016 - Seconda
giornata tra scrittori a Rescaldina (Mi) IL VIZIO DI SCRIVERE – un racconto
pieno di poesia scritto da Susanna Brigada
pagina facebook: Il vizio di
scrivere (prossima giornata in marzo, seguiteci!)
Si presentava lì, quasi
sempre quando Anita meno se lo aspettava. Il campanello della porta di casa aveva un suono lungo e pesante, lei lo avvertiva poiché il cuore le si faceva
all’improvviso cupo e presente come se una pietra fosse sprofondatale nel petto
così, all’improvviso. Allora apriva la porta incerta e
titubante e lui era sempre lì, altissimo ingombrante a dismisura, con
quei lunghi capelli annodati in molte
e piccole disordinate treccine, miste a
strisce di colore e con quell’abito da
clown, o da zingaro o forse da bizzarro personaggio di non so quale opera
teatrale. Di certo a lei Orazio appariva così,
come un fulmine a ciel sereno, una sirena impazzita nella notte, una burrasca
improvvisa.
Entrava da quella porta come dovesse attraversare un cunicolo stretto e poco agevole, poi, dopo essersi agitato in una danza di gestualità scomposte e teatrali e in una valanga irrefrenabile di parole dal tuono infuocato, si sedeva finalmente sul divano e si calmava, mentre lei aveva raggiunto il culmine della sua silenziosa pazienza. A quel punto ad Anita sembrava che Orazio perdesse parte delle sue caratteristiche: diminuisse di altezza, perdesse parte delle sue stravaganze: davanti a lei sembrava apparire un essere normale. Lui si definiva il suo migliore amico il suo più abile consigliere, ma Anita non capiva proprio perché quel malessere che la sovrastava sopraggiungesse proprio quando era in presenza di Orazio. Spesso si trovava sola nella sua camera a riflettere su alcuni valori dell’esistenza, sull’amicizia, la libertà, sul valore dei sentimenti e di come potessero influire sulla vita, la sua e quella degli altri, ma lei era una ragazzina di soli 15 anni e ancora conosceva poco della vita e del mondo. Orazio era suo amico si, Il suo bizzarro amico interiore. Un giorno Anita esasperata chiese ad Orazio di quietarsi, anzi lo zittì con una forza e una determinazione che fino ad allora non aveva conosciuto. Le disse che ora avrebbe parlato lei, che toccava lei agitarsi tanto e lui avrebbe dovuto solo ascoltarla. Così le puntò un dito tremante e disse: - Tu! che sempre mi importuni con le tue richieste, con le tue proteste, con le tue critiche, ora ti prego Taci!!! Sono stanca delle tue improvvise invadenze, non mi permetti di riflettere veramente con il cuore, è come se tu fossi ,come dire, un giudice piuttosto che un amico ed è proprio questo che io non voglio.- Io, disse Anna, con le lacrime che quasi le solcavano il volto in sottili e rossastri rigagnoli , io voglio un amico!!! Anche se non so e lo dico a te, che sembri sapere proprio tutto, non so dove, in quali profondità della vita reale posso scovarlo. Tu non sei un amico reale, lo capisci! Con te non posso confrontarmi, a volte, a volte sembra persino che non mi voglia bene! Sembra che tu colga ogni occasione per spingermi sempre più a terra, sembra che tu mi voglia vedere strisciare come in un mare di serpi che si muovono disperatamente l’una sopra l’altra in uno spazio rubato e senza speranza.- Così si sentiva Anita, terribilmente infuriata, terribilmente sconvolta, mentre Orazio rimpiccioliva ora sempre di più quasi a diventare un puntino inconsistente e innocuo nelle pieghe del divano di casa.
Entrava da quella porta come dovesse attraversare un cunicolo stretto e poco agevole, poi, dopo essersi agitato in una danza di gestualità scomposte e teatrali e in una valanga irrefrenabile di parole dal tuono infuocato, si sedeva finalmente sul divano e si calmava, mentre lei aveva raggiunto il culmine della sua silenziosa pazienza. A quel punto ad Anita sembrava che Orazio perdesse parte delle sue caratteristiche: diminuisse di altezza, perdesse parte delle sue stravaganze: davanti a lei sembrava apparire un essere normale. Lui si definiva il suo migliore amico il suo più abile consigliere, ma Anita non capiva proprio perché quel malessere che la sovrastava sopraggiungesse proprio quando era in presenza di Orazio. Spesso si trovava sola nella sua camera a riflettere su alcuni valori dell’esistenza, sull’amicizia, la libertà, sul valore dei sentimenti e di come potessero influire sulla vita, la sua e quella degli altri, ma lei era una ragazzina di soli 15 anni e ancora conosceva poco della vita e del mondo. Orazio era suo amico si, Il suo bizzarro amico interiore. Un giorno Anita esasperata chiese ad Orazio di quietarsi, anzi lo zittì con una forza e una determinazione che fino ad allora non aveva conosciuto. Le disse che ora avrebbe parlato lei, che toccava lei agitarsi tanto e lui avrebbe dovuto solo ascoltarla. Così le puntò un dito tremante e disse: - Tu! che sempre mi importuni con le tue richieste, con le tue proteste, con le tue critiche, ora ti prego Taci!!! Sono stanca delle tue improvvise invadenze, non mi permetti di riflettere veramente con il cuore, è come se tu fossi ,come dire, un giudice piuttosto che un amico ed è proprio questo che io non voglio.- Io, disse Anna, con le lacrime che quasi le solcavano il volto in sottili e rossastri rigagnoli , io voglio un amico!!! Anche se non so e lo dico a te, che sembri sapere proprio tutto, non so dove, in quali profondità della vita reale posso scovarlo. Tu non sei un amico reale, lo capisci! Con te non posso confrontarmi, a volte, a volte sembra persino che non mi voglia bene! Sembra che tu colga ogni occasione per spingermi sempre più a terra, sembra che tu mi voglia vedere strisciare come in un mare di serpi che si muovono disperatamente l’una sopra l’altra in uno spazio rubato e senza speranza.- Così si sentiva Anita, terribilmente infuriata, terribilmente sconvolta, mentre Orazio rimpiccioliva ora sempre di più quasi a diventare un puntino inconsistente e innocuo nelle pieghe del divano di casa.
Anita era spesso sola a casa, anche se a Buenos
Aires faceva parte di una famiglia benestante ed
agiata della capitale, tuttavia si
trovava spesso sola nella sua grande casa poiché i genitori erano spesso fuori
per lavoro. Gran parte delle giornate le
passava in compagnia di un simpatico gattino dal pelo folto e
screziato di grigio e l’infaticabile Mary: la governante.
Quella sera di tarda estate decise di lasciare
i libri sulla scrivania nella sua camera
e di uscire senza meta, forse anche per
dimenticare un po’ il litigio profondo e la delusione provate nel suo dialogo
inconcludente con Orazio. Senza
rendersene conto si addentrò nei quartieri della periferia della città mentre
il suo sguardo non faceva altro che seguire l’orizzonte che sconfinava oltre
l’oceano calmo. La sua attenzione fu
allora distratta all’improvviso da un ragazzino che correva alla disperata ;aveva fra le mani
un oggetto che a quella distanza non le era chiaro, correva, cadeva e si
rialzava di nuovo finche sparì oltre una siepe. Anita si avvicinò con il cuore in gola, non si
era mai così tanto allontanata da casa, vide lì dietro quell’arbusto spinoso, un
ragazzino spaventato , dagli abiti stracciati e sporchi e fra le mani la
carcassa di un pollo .- Cosa fai perché ti nascondi.. chi sei? chiese Anita- Sono
Paolo, vai via, sennò mi prendono e mi fanno secco!- rispose
lui guardandola di sottecchi - Chi?-chiese Anita- Gli operai, quelli che stanno costruendo quelle case non
vedi? Dirigendo lo sguardo verso il quartiere
più alto della zona. - Quindi hai rubato il pollo!- Certo devo pur mangiare io!-
rispose il ragazzo. In poco tempo Anita venne a conoscere la storia e la vita
di un ragazzino della favelas. Tutte le sere Paolo, quello era il nome del
ragazzo, e Anita s’incontravano nei
pressi della periferia urbana e lui aveva sempre tante avventure da
raccontarle. Conosceva tantissimo della
vita e della natura, sapeva tutto sugli animali del posto conosceva le
abitudini e il coraggio per la sopravvivenza che avevano tutti quelli che si
dovevano adattare a quell’ambiente e a quelle condizioni. Anita vedeva in lui , nei suoi sorrisi spontanei e chiassosi
l’aspetto reale e nuovo di una libertà e di una fiducia di vivere che lei nel
suo benessere non aveva mai conosciuto. Paolo non conosceva alcune parole della vita: ad
esempio non capiva il significato di ambizione, non sapeva nemmeno cosa fossero
le regole, le limitazioni del tempo. Per lui lo scorrere della vita era come lo
scorrere del giorno che rincorre la notte. Osservare la nascita di una pianta e
la sua sopravvivenza, l’attenzione ad
un fratello o ad un amico malato cercando di fare il possibile per alleviargli
il dolore e la fatica, magari costruendo
dei giochi creati con pochi oggetti di metallo trovato qui e la nel quartiere, o
con la corteccia degli alberi, oppure sovrapponendo vecchie stoviglie, al fine di ricavarne una piccola scultura
spesso divertente e fantasiosa. Soprattutto Paolo le comunicava qualcosa che lei
non aveva mai conosciuto. Lui era in relazione: era in relazione con il suo
Ambiente, con la sua gente, ma senza
consigli o critiche, lui era solamente presente con tutto sé stesso, lì solo
per ascoltare, vedere, abbracciare, sorridere. Era in relazione con la natura e gli oggetti, sapeva vivere con essi dandogli un significato
operando perché alla fine tutto fosse una stupefacente creazione.
Lui e il suo mondo erano una cosa sola. Anita aveva finalmente compreso che
quell’amico, per il quale ora nutriva
sentimenti profondi e teneri, gli era stato regalato, o meglio lei lo aveva
chiesto e il destino, che mai guarda gli interessi di parte o fa i conti con le
convenzioni sociali, le aveva magicamente rivelato. Paolo non era come lei, non proveniva dalla
sua stessa esperienza, non aveva una
famiglia come la sua, eppure Paolo era
un amico e soprattutto era libero, libero di amare, libero di creare, libero di
conoscere, libero dalle convinzioni
rigide e dagli schemi preconfezionati e
indiscutibili che lei aveva conosciuto fino ad allora. Capitò un giorno che l’appuntamento
serale alla scogliera mancò della
presenza di Paolo. Anita corse al villaggio,
nessuno sapeva niente di lui. La famiglia era preoccupata, pare fosse uscito la sera prima e non avesse
fatto ancora ritorno. Tanti lo stavano cercando. Anita angosciata cercò di
capire, di ricordare, cercò un indizio
dentro di sé che potesse far luce a quella inaspettata scomparsa. In quel
preciso momento Anita vide comparire
davanti a sé la figura di Orazio, non era così grande, anzi era alto
pressappoco come lei, non era agitato o irrequieto, anzi era stranamente calmo
e composto. Avanzava con qualcosa fra le mani guardandola fisso negli occhi. - Ciao Orazio, è tanto che non ci incontriamo cosa porti con
te?- chiese Anita intimorita e affannata - Tu
mi hai chiesto di essere silenzioso ricordi? Ti sei tanto infuriata perché
stessi zitto ricordi? io l’ho fatto Ma ora sono qui perché tu mi hai chiamato, hai chiamato questo Orazio! - Non capisco!- disse Anita -Tieni Anita! È per te!- Aveva fra le mani un gabbiano, un piccolo gabbiano ferito e morente- Tieni me lo ha
consegnato Paolo. Ha detto che ci penserai tu a salvarlo, lui questa volta non c’è riuscito- Orazio depose il piccolo uccello su quella
terra scura e profumata di sogni, di speranze, di vita e in un attimo
sparì alla sua vista. Anita dopo un
attimo di sgomento cominciò a capire.
Verso sera trovarono sulla riva
del mare il corpicino abbandonato ed esile di un ragazzino, trasportato probabilmente dalla risacca . Il viso era sereno quasi
sorridente, non aveva ferite. Furono
solo abbracci, non ci furono parole, né tantomeno rabbia. Quello che Anita
sentiva dentro di sé era solo una grande
forza ritrovata in quei caldi e numerosi abbracci, come fosse uno solo ma tanto forte da
sostenere il pianto del mondo intero. Lì fra quella gente e fra quel dolore
composto e sereno riapparve Orazio. Anita le corse incontro e lo avvolse a se come
fosse un abito multicolore che desiderava ora fortemente indossare. Paolo le aveva silenziosamente insegnato che amicizia e libertà sono una sola
cosa che vive dentro di te, in ognuno di noi, solo quando abbiamo perdonato e abbracciato il
nostro Orazio.
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