IL PRIMO CAPITOLO DI "VIAGGI DI NUVOLE E TERRA", 2018, MACCHIONE EDITORE
Un viaggio a ottanta
chilometri da un fronte di guerra, un ospedale sperduto nelle paludi del Sud
Sudan, in una zona ricca di petrolio e devastata da sessanta anni di guerra. Un
progetto di sviluppo in un paese che continua a ripetere errori che portano al
fallimento di ogni tentativo di progresso e all’estrema povertà. Il diario di un viaggio speciale e di esperienze
vissute in un villaggio come tanti, un luogo estremo ai margini del mondo, simbolo
di migliaia, milioni di altri villaggi dove la guerra e la povertà estrema
regolano la vita di uomini, donne e bambini: un luogo che suscita emozioni
fortissime, inducendo la riflessione sul modo di vivere e sulla visione del
mondo indotti dalla società occidentale. Rifugiati e migranti prima
interni ora esterni al paese, in fuga verso gli illusori eden europei. Solo la
bellezza della Natura rimane impassibile e intatta in questa parte del mondo.
Andare
via
Da un
po' di tempo la vita che conduco in Italia mi sembra povera di significato e
colma di difficoltà continue, che vedo per lo più intrinseche nel modo di
vivere del nostro paese.
Difficilmente
posso influenzare questa parte del mondo esterno, anche se con qualche
accorgimento posso difendermi o accettarlo o selezionare nell’ambiente solo ciò
che mi serve: ogni giorno però mi affatico a risolvere problemi che non mi
sembrano reali, ma sovrastrutture di una società complicata e distonica.
Soprattutto
mi sembra di sprecare energia senza utilità.
Sono
alla ricerca di un significato profondo, e questo per me vuol dire andare
all'essenza, semplificare, togliere, se mai è possibile, quello che nasconde
verità alle cose.
Non
riuscendo ad arrivare a capo di questo problema filosofico, ho cominciato a
pensare che fosse necessario iniziare rompendo gli schemi abituali del vivere,
e mi sono guardata intorno.
Così
ho cominciato a esplorare il mondo africano: di fronte ai fatti terribili cui
si assiste in questi paesi massacrati dalla guerra, mi piace insistere non
sulla distruzione, ma sul passo seguente, positivo, la costruzione di qualcosa
di nuovo. Così come succede in Natura.
Dopo
una fase della vita conclusa, dopo uno stress, il cambiamento non è mai facile,
ma senza questo passo indispensabile non c'è evoluzione, né speranza nel
futuro, in qualunque campo della vita e in qualunque luogo. Così come succede
nella persona umana, che ho studiato, praticando, soprattutto nell'ambito della
psicologia, della comunicazione e delle conseguenze dello stress nel campo
psicofisico.
Pian
piano ho deciso che avrei dovuto vedere con i miei occhi e accedere alla realtà
di un paese dell'Africa Nera secondo modalità che non avevo mai sperimentato. "Porta
itineris longissima esse dicitur", la porta, l'inizio, è la cosa più
lunga del viaggio, ma prima o poi nella vita è utile intraprendere un percorso
significativo per sé, un viaggio interiore.
Non è
necessario andare così lontano, come ho fatto io e tanti altri come me, spinti
da un naturale impulso a esplorare l’ignoto, ma un viaggio è metafora della
vita, rivela chi siamo, le nostre risorse, le nostre capacità, ci fa conoscere
il meglio e il peggio di noi.
Un
luogo così svela le maschere. E mentre siamo in uno spazio sconosciuto e lo
guardiamo, la gente, lo spazio guardano noi, e rispondono in un modo che ci
rivela meglio chi siamo.
“Il
viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma”,
come diceva Bruce Chatwin, un instancabile e irrequieto viaggiatore, e così
sono partita.
Un
viaggio di ricerca si fa da soli, ma se troviamo condivisione è stupendo. Sono
così partita per il Sud Sudan, nel novembre 2008, con alcuni altri viaggiatori.
La
realtà di quel paese è durissima, drammatica, ed è simile in tre quarti del
mondo. Cadono molti veli che oscurano la vista e molte lenti deformanti: io
sento che qualcosa mi rode dentro contro questa mostruosa ingiustizia e i
tamburi lontani che sento ancora suonare con ritmi forti e potenti mi spingono
ad agire, qui e ora, nel modo che è più consono al mio saper essere e a quello
che so fare. Perché ora non ho più la scusa di non sapere. E bisogna dar voce a
chi l'ha troppo sommessa, perché il mondo la senta.
Di
fronte alla vastità dell’Africa e dei suoi problemi così complessi, parlerò di
una realtà piccola ma significativa, esempio di milioni di altre realtà simili.
Dove
c'è penuria di tutto ogni cosa diventa preziosa, niente è dato per scontato, ci
si abitua a dare alle cose l'importanza che hanno davvero; ci accorgiamo che
anche gli oggetti di cui non possiamo fare a meno hanno soltanto il significato
che noi vogliamo attribuirgli. Ho sperimentato che potevo fare a meno di
tantissime cose, perché semplicemente non c'erano: quindi mi sono resa conto
che sono utili, piacevoli, è meglio averle che non averle, ma non sono
necessarie.
La
semplificazione, in questi luoghi africani, è al massimo.
Cercherò
di descrivere quella realtà con i miei occhi, i miei sensi, le mie orecchie e
con quello che so: non metto in dubbio che ci siano altri modi, e altri punti
di vista, perché ognuno di noi porta come arricchimento agli altri la propria
visione del mondo e la propria esperienza.
Nel
mondo ci sono tanti villaggi così: auguro a chi lo desidera fortemente di
scegliersi la propria meta vicina o lontana.
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