Qual è il motivo di tanta attenzione? Un narratore prende quasi sempre spunto dalla società: vuol dire che la nostra è così violenta da suscitare un morboso interesse? Non è così semplice.
La scelta di scrivere un giallo – negli autori migliori - nasce anche dall’intento di rispecchiare la società analizzando le relazioni tra gli individui e il “lato oscuro” di un mondo dove ingiustizia e sopraffazione sembrano dominare, perché nell’utopia di una società davvero giusta non ci sarebbero i violenti e i criminali.
Scrivere gialli è anche un modo per andare a fondo di una parte di noi che non vogliamo riconoscere, quell’aggressività che la nostra società mette al bando come ignobile, ma che può essere ben altro rispetto alla violenza.
Aggressività, nella sua accezione positiva, è una forza potente che ci fa andare verso le nostre mete: preferiamo chiamarla assertività – una parola che non porta con sé ombre negative -.
Una narrativa che racconti la trasgressione dalle norme e dalle leggi, gli eventi dove l’aggressività senza controllo si connota in negativo e diventa violenza, l’irrompere dell’irrazionale che ci spaventa, è proiezione del “lato oscuro” presente in ciascuno di noi.
Proiettarlo su vicende che in apparenza sono estranee, vederlo alla tivù o al cinema o leggerlo in un giallo hanno su di noi l’effetto delle fiabe sui bambini, piene di figure violentissime, di assassini e di realtà cruente: l’Uomo Nero, l’Orco, la Matrigna e la Strega non siamo noi e ciò ci tranquillizza.
Si possono esorcizzare incubi e paure, si può superare insicurezza e inquietudine, perché sempre nelle fiabe, e quasi sempre nei gialli, il colpevole, il Male, viene fermato e punito e trionfa il Bene, ristabilendo l’equilibrio.
“Racconti neri” è un libro che non si
dimentica: gli argomenti sono attuali, ogni giorno leggiamo sui giornali storie
di delitti efferati, inorridiamo a quelli compiuti su donne e bambini, ci
sdegniamo di enormi ingiustizie che spesso vengono alla luce dopo anni. Così
in un déjà vu leggiamo ciò che Vichi ha
trasformato con la sua penna in forme letterarie, dopo aver rielaborato la
realtà e i personaggi per raccontare le vicende che lo interessano.
“Gialli sociali” o meglio “Noir sociali” i
suoi, con notevole penetrazione psicologica: la descrizione degli stati d’animo
dei personaggi e degli ambienti in cui si muovono hanno una competenza da
psicologo o criminologo.
Vichi mostra di volta in volta una vasta
gamma di emozioni espresse dai criminali stessi mentre raccontano la loro
storia - rifiuto, rimorso, condanna, repulsione, tristezza, vergogna, angoscia,
disperazione, vendetta, rabbia paura, senso di colpa…-: l’autore non si pone in
un ruolo di giudice morale o traccia inutili confini netti tra il Bene e il
Male, lascia al lettore una riflessione su ciò che accade agli individui nella
nostra società e un eventuale giudizio.
Racconta ed emoziona: il lettore sta dalla
parte delle vittime, ma qualche volta può provare a capire gli stati d’animo
dei colpevoli, a ragionare su emozioni che non considera volentieri perché
“negative”. in certi momenti rimane inchiodato alla sedia per l’orrore di
quello che sta leggendo…un inevitabile e formativo stimolo a condannare
qualsiasi tipo di violenza. La bravura e l’efficacia dell’autore sta proprio
nel suo scrivere usando le parole giuste per suscitare queste emozioni in modo forte e incisivo.
Tredici racconti, lunghi o brevi, che
fissano su carta un mondo dove l’ irrazionale, la pazzia, il mistero o l’inconcepibile
stravolgono una realtà quotidiana che solo in apparenza è dominata dalla
razionalità e dal controllo degli istinti: assassini, carcerati, poliziotti,
magistrati colpevoli, ma anche gente per
bene perfino “un ometto senza capelli” scorrono tra le pagine, protagonisti
dolenti delle loro storie.
Scrittore di racconti e romanzi – famosi
quelli che hanno come protagonista il commissario Bordelli – Vichi ha una
scrittura sobria, essenziale, caratterizzata dalla semplicità e dalla pulizia del
testo, ma ogni parola è studiata per suscitare emozioni e lasciare tracce. L’abilità
sta nel far salire la suspense con un
ritmo sempre più serrato e concitato che si spezza all’improvviso in un gesto,
un’azione che conclude il racconto, frenando la tensione.
Tredici racconti, pubblicati già su
giornali e in varie antologie a cui lo scrittore ha partecipato dal 1985 al
2012 e ora rivisti: il racconto non è certo letteratura minore, come pensano
alcuni, anzi, permette di esplorare un soggetto circoscritto nei dettagli, così
come il romanzo permette una visione ampia, due forme di scrittura in cui
questo autore si trova a proprio agio.
Non consiglierei questo libro a chi ha bisogno di
rilassarsi leggendo qualcosa di leggero:
ma è un testo per gli appassionati del giallo ben scritto e per chi ama
riflettere sull’anima umana in tutte le sue sfaccettature.
Marco Vichi (Firenze,1957)
ha esordito con numerosi racconti, scrive per riviste e quotidiani, ha lavorato
a Radio Rai in una trasmissione in cui raccontava la sua esperienza di portare
l’arte nelle carceri. Il suo primo romanzo è stato “L'inquilino”, edito da
Guanda nel 1999. Nel 2002, con “Il Commissario Bordelli”, ha dato inizio a una
serie di polizieschi di successo ambientati nella Firenze degli anni Sessanta. Nel 2004 ha vinto il
Premio Fedeli con “Il nuovo venuto”, nel 2009 il Premio Scerbanenco con il
romanzo “Morte a Firenze” e nel 2013 si è classificato secondo al Premio Piero
Chiara.
Una
curiosità
In Italia è comune dire “giallo” che deriva dal colore della
copertina dei famosissimi “Gialli Mondadori” pubblicati a cominciare dal 1929,
mentre in Francia l’editore Gallimard pubblicò con copertina nera i romanzi sul
crimine americani. Il “noir” ha
generalmente connotazioni più violente dei polizieschi e spesso analizza una
vicenda dal punto di vista del criminale.
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