Storia di
una vita vera, che ho ascoltato anni fa. Non si potrà sapere
dove comincia la fantasia e dove finisce la realtà, che qui si mescolano in un continuo divenire; l’immaginazione dell’Io Narrante stende un
velo che nasconde l’intimità e difende la riservatezza della protagonista. La
creazione arricchisce la realtà di dati che completano il quadro e
definiscono un personaggio fino a farlo sentire
col cuore, vedere con la mente, ascoltare con lo spirito. Non importa il dove
il quando e il chi, perché questa donna diventa simbolo di una realtà condivisa
da mille altre donne, ma anche da uomini che subiscono violenza psicologica sul
posto di lavoro e pagano un alto prezzo di sofferenza e di lesione
dell’autostima.
Mobbing
un racconto di Tiziana Viganò
tratto dal suo libro "Come le donne"
In quello specchio non sono io. Vedo una
donna pallida e sfiorita, capelli in disordine, segni delle rughe sul volto che
indicano tristezza, molti, molti chili sovrappeso, spalle curve.
Come ho fatto a ridurmi così? Perché ho
lasciato che le cose mi travolgessero fino a questo punto?
Ho solo 46 anni, finalmente l’ energia mi
scorre di nuovo nel corpo e so che per uscire da questa situazione devo
riprendere in mano la mia vita, guidarla io invece di farmi guidare.
L’immagine che lo specchio mi rimanda non è
l’Antonella che voglio essere, e, dopo tante difficoltà, mi sento pronta a
ricominciare da me.
Prima che tutto precipitasse, la strada
della mia vita sembrava così tranquilla, forse un po’ monotona, sempre uguale,
marito figlio lavoro casa: a me stava bene così e mi sentivo protetta. Sono una persona poco sicura di se stessa, ma
stabilità, ordine e semplicità mi davano sicurezza, sapevo sempre quello che
sarebbe successo, tutto regolato dagli orari dei miei impegni, dalla divisione
dei ruoli in famiglia.
ll primo cambiamento violento della mia
vita è cominciato sul lavoro, quattro anni fa.
Ero, e sono ancora, operaia qualificata
in una fabbrica metalmeccanica della provincia di Milano: un lavoro impegnativo
e faticoso, con turni, ma lo facevo da ventiquattro anni, da quando ero una
ragazza e mi piaceva. Poi, in un momento
di crisi dell'azienda, è arrivato un nuovo direttore, assunto per la
ristrutturazione che, come sempre,
comporta licenziamenti: presuntuoso e severo, l’ho sentito subito antipatico, a
pelle, e purtroppo la cosa si è rivelata reciproca. Pretendeva da me una
maggiore velocità, voleva che aumentassi la produzione, mi controllava
continuamente, una vera ossessione...non capivo il motivo del suo comportamento,
dopo tutto il mio lavoro era sempre andato bene a tutti i capi.
Non so neppure ricordare come le cose siano
degenerate a poco a poco: mentre i nostri rapporti precipitavano la mia ansia
cresceva. Un brutto giorno mi ha convocata in ufficio e mi ha detto che aveva
bisogno di spostarmi in un altro reparto dove un’operaia era in maternità:
ragioni di produzione.
Ho cercato di reagire, invano: quel lavoro
era dequalificante, ben lontano dalle mie mansioni abituali, mi sembrava di
essere tornata indietro di vent’anni, di non contare più niente, perché? Perché
proprio a me?
La sera, a casa, mio marito e mio figlio mi
hanno consolato, sono stati affettuosi, ma io ero angosciata, confusa, in
allarme, stavo male fisicamente e psicologicamente.
Quella notte è successa una cosa terribile:
il cuore sembrava voler scoppiare, mi mancava l’aria, mi girava la testa….avevo
l'impressione di essere sul punto di morire, ero terrorizzata, travolta….
Aldo, spaventatissimo, ha chiamato subito
il 118, ma il medico mi ha rassicurato, e del resto quel momento disperato era
durato pochissimi minuti. L’indomani sono andata in ospedale per accertamenti e
la diagnosi è stata: attacco di panico.
Sono stata a casa in malattia a lungo, per
cercare di riprendermi, ma naturalmente questo ha peggiorato i rapporti con
l'azienda. Quando sono tornata, nella nuova mansione, il direttore me l’aveva
fatta pagare e perfino alcuni miei colleghi sembravano essersi schierati con
lui, nella speranza di salvarsi dai feroci tagli al personale che stava
attuando.
Stavo sempre male, mi avevano dato
pastiglie che mi calmavano, che hanno impedito nuovi attacchi, ma ero depressa,
mi sentivo ferita, vittima. Per otto ore al giorno facevo finta di niente, ma
quando tornavo a casa mi sfogavo con Aldo e Marco, scaricavo su loro due le mie
frustrazioni e le mie paure: soltanto ora capisco quanto dovesse essere
difficile per loro sopportare la situazione.
Finalmente un colloquio con uno psicologo
mi ha convinto a rivolgermi al sindacato e in effetti, col tempo, sono riuscita
a trovare un po’ di tranquillità e a rientrare nel mio vecchio reparto, con le
mie mansioni. Ho subìto il mobbing, si chiama così, e oggi è un reato.
Il direttore, finito il suo lavoro, dopo
aver messo in mobilità quasi la metà degli operai, è stato mandato in una sede diversa per un'altra
ristrutturazione.
Avevo vinto, e non è sempre così facile in
questi casi: ma nonostante il finale positivo, questa esperienza mi ha segnato
profondamente, frantumando il mio fragile equilibrio e le certezze della mia
vita.
Mio marito non ha accettato le difficoltà
di quel periodo: continuava a dirmi “Reagisci!” senza capire che non ne avevo
le forze, e invece di essermi vicino per sostenermi si è allontanato sempre
più, fino ad andarsene, alla ricerca di una vita più serena e tranquilla.
Un anno fa mi ha piantata per un’altra.
Così all’improvviso, senza che sospettassi nulla, presa com’ero da me stessa,
perché i problemi degli anni precedenti mi avevano molto cambiata: mi sentivo
sempre in ansia, avevo paura di sbagliare anche nelle cose semplici, mi ero
sgonfiata come un fragile palloncino bucato. Avevo cominciato a mangiare,
ingrassando molto, ero trascurata, sciatta: non sono mai stata una modella,
solo una donna normale, carina, un po’ riservata, e ora...
Una domenica pomeriggio, mentre nostro
figlio era andato a giocare al pallone, Aldo mi ha confessato tutto con poche
parole, poi ha fatto le valigie ed è uscito di casa, così in fretta da non
darmi neppure il tempo di reagire: una storia come tante, il marito si innamora
della ragazza giovane e bella e lascia la moglie che è diventata problematica e
poco desiderabile, dopo vent'anni di matrimonio.
La scomparsa di mio marito ha causato un
terremoto, non avevo più un punto di riferimento e sono crollata del tutto. Mi
sentivo in colpa, ero sicura di essere stata causa della fine del suo amore e
del matrimonio: davanti a lui mi sono umiliata, ho chiesto perdono, l'ho
supplicato di tornare, ma è stato tutto inutile. Anche la situazione di mio
figlio Marco mi dava molto dolore e sentivo la responsabilità di doverlo
crescere senza avere il supporto di un padre, perché Aldo con la sua ragazza si
era defilato anche dal ruolo paterno.
Dopo un periodo di depressione durato molti
mesi ho capito che era ora di reagire, di imparare che il cambiamento può
essere una cosa stimolante, che non volevo più avere paura, ma non riuscivo a
trovare una forte motivazione, quella spinta che riesce a vincere qualunque
ostacolo, che fa ripartire anche dopo i traumi e il dolore.
E' passato il tempo e ieri mio figlio
Marco, che ha 18 anni, mi ha fatto una scenata per motivi davvero futili, poi è
corso ad abbracciarmi piangendo, chiedendomi scusa, ha detto che non riesce più
a sopportare di vedermi buttare via i giorni nella depressione, mi vuole tanto
bene ma vuole vedermi tornare a sorridere.
Finalmente ho percepito fino in fondo il
suo amore, che è rimasto fermo e solido nonostante quello che ha passato: lui
adolescente è riuscito a sostenere la mamma, ora basta, io sono l'adulta che
deve riprendere il suo ruolo.
Il suo sfogo
mi
ha veramente scosso, come se
improvvisamente vedessi una luce dopo
l'oscurità della mia condizione: da ieri penso solo a quello che mi ha detto,
non era la prima volta, ma ora è scattato qualcosa dentro di me, sento una
forza che non credevo di possedere, così ho preso alcune decisioni.
Voglio cercare un sostegno psicologico che
mi aiuti a elaborare quello che è successo, a riprendere coraggio, a capire
quali sono le mie capacità e le mie risorse.
Mi sono adagiata in un lavoro sicuro che mi
ha lasciata ferma per tanti anni e non ha sviluppato le mie possibilità: è ora
esplorare nuove vie, chiedendomi che cosa sono e che cosa so fare.
Davanti a questo specchio mi guardo in modo
critico, no davvero, così non mi piaccio. Ho negato finora il mio bisogno di un
uomo, ma ora sento che voglio trovare un punto di riferimento, un uomo su cui
contare, ricordando che ho sbagliato tante cose nel mio rapporto con Aldo e
posso imparare dall’esperienza.
Tremo un po' al pensiero di questi
progetti: l'Antonella che non ama i cambiamenti sarà capace davvero di
proseguire il suo cammino? Non sarà facile, non mi vedo a rivoluzionare tutto
in un lampo, saranno passi lunghi, prudenti, a volte traballanti, a volte dovrò
esplorare con cautela e scegliere il sentiero giusto, forse inciamperò.
Vedo il viso di mio figlio Marco che mi
sprona, ma sento anche la mia parte positiva che vuole rinnovarsi, é primavera,
il momento giusto per ricominciare a vivere, partendo da me!
un'altro senza dubbio bel racconto !! questa storia è come se l'avessi già sentita da una conoscente anche se lei per motivi economici continua a vivere separata in casa ed ha perso il lavoro ora è in mano ad un avvocato ma come sempre le cose vanno per le lunghe
RispondiEliminaMi rispecchio molto in questo articolo, anche io ho sofferto e sto soffrendo perchè sono vittima dil mobbing sul posto di lavoro.
RispondiEliminaCercando in rete mi sono imbattuto in un video che propone come alleviare la mia sofferenza. Grazie a questo video a poco a poco sto cominciando ad affrontare e eliminare le cause del mio disagio. Per questo motivo vi consiglio questo video sulla sofferenza