25 ottobre 2015 - "Il vizio di scivere" -presso la Biblioteca di Rescaldina (Mi)
Un pezzo giornalistico del più famoso esperto
internazionale in materia di Titanic
pagina facebook: Il vizio di scrivere
(prossima giornata in gennaio, seguiteci!)
Nel 1912 la fotografia non era propriamente ai
suoi albori, però il fatto di possedere un apparecchio atto ad impressionare
episodi di vita non era da tutti.
Tutti conosciamo il Titanic, l’inaffondabile nave più bella e più
grande del mondo, come era stata definita dalla stampa di quell’epoca: già
all’epoca della sua costruzione, risalente a tre anni prima, abbiamo una ricca
e documentata collezione fotografica.
Fu Robert Welch, fotografo ufficiale
dei cantieri irlandesi di Harland &
Wolff di Belfast, dove il
gigante dei mari venne costruito, che ci ha
lasciato in eredità una ricca iconografia.
Sin dalla posa della prima lastra del Titanic, avvenuta nel marzo del 1909,
abbiamo avuto modo di seguire tutto il processo della sua costruzione: sono
immagini che lasciano trasparire il modus operandi dei tempi, dove lavorare
significava essere impegnati quasi dodici ore al giorno e gli animali da
trasporto erano fondamentali aiutanti dell’uomo.
Ma sono anche fotografie cariche di un certo fascino: sarà la lontananza nel tempo che conferisce la patina color seppia agli
episodi, storicamente importanti ed emotivamente coinvolgenti, che li rende
impregnati di significati dal valore magico e simbolico.
Il fotografo per impressionare quei fotogrammi
aveva il suo bel daffare: i risultati, data la scarsità dei mezzi a
disposizione, non erano del tutto soddisfacenti e spesso la medesima fotografia
dove essere scattata più volte.
Abbiamo avuto modo di vedere foto di particolari
veramente inediti e dettagli che oggi sarebbero etichettati come “segreti
industriali”: abbiamo così impressi su lastra parti della motoristica (i motori del Titanic erano alti come un
palazzo di quattro piani), parti elettriche, quell’elettricità che avrebbe poi
fornito l’alimentazione necessaria per inviare il famoso ultimo e disperato SOS
attraverso un strumento dovuto al genio di un italiano. Questo per rimanere in
ambito strettamente tecnico.
Ma Robert Welch ci ha lasciato anche un vasta
documentazione fotografica di quelli che erano gli ambienti dei cantieri di lavoro (memorabile la sua fotografia
che inquadra l’uscita di alcuni dei 14mila operai dalla fabbrica al termine del
turno di lavoro riversarsi nella strada del capoluogo irlandese al termine del
turno di lavoro, con l’imponente prua della grande nave in allestimento a fare
da sfondo).
Raramente però era in uso ritrarre persone,
soprattutto in primo piano: se questo avveniva ciò era esclusiva di uno studio
fotografico e per le “grandi occasioni”. Per i bambini, manco a dirlo, era un
avvenimento per fare festa e abbigliarsi in modo consono, date le ristrettezze
dei tempi.
Era consentito fotografare, persone intente alla propria prestazione d’opera: la
“privacy” sarebbe arrivata dopo quasi un secolo. Ed ecco così un’altra
celeberrima fotografia in cui si vedono degli operai con indosso il classico
basco mentre lavorano sull’elica dell’enorme transatlantico. E cito questa
fotografia non a caso: infatti è fonte di autorevoli discussioni fra gli
storici perché rappresenta un primo tentativo di Photoshop, seppur rudimentale
dei tempi. Ad attento esame si può notare come proprio innanzi all’asse
dell’elica vi è la figura di un uomo, di un uomo cancellato. Sembra proprio che
la figura di questa persona sia stata “grattata” via!
Che già in quei primi anni del Novecento la
fotografia non fosse ancora stata perfezionata era facile da intuire anche
dalle immagini riprodotte dagli stessi quotidiani coevi. Mi sovviene una
precisa immagine che riproduce la lussuosa - non poteva essere altrimenti
parlando di Titanic - sala da pranzo di prima classe della nave.
Nella fotografia riprodotta dal quotidiano si
vede chiaramente il volto di una donna ritratta nel salone sopraccitato.
Facendo le pulci, cosa di cui molti dei miei lettori affermano che sono
maestro, ho trovato l’originale della riproduzione fotografica. Essa rappresenta
indubbiamente la sala da pranzo di prima classe del grande piroscafo della
compagnia navale White Star Line, ma
in luogo di quell’immagine femminile vi è un’enorme macchia. Macchia dovuta
all’imperizia o all’incuria del fotografo che forse si è lasciato scappare
qualche salsa del suo sandwich sulla fotografia. Ma questi esempi dimostrano,
in modo evidente, di come piccoli e grandi
ritocchi fotografici, erano già in uso a quei tempi.
Volgendo l’attenzione alla fotografia in senso lato, debbo dire che mentre il
signor Welch ci ha lasciato testimonianza della costruzione del Titanic con un ricco archivio di quasi cinquecento
immagini, tutte doviziosamente catalogate e archiviate, devo dare una
tiratina d’orecchie a questo fotoreporter dei tempi andati. Non si ha nessuna
documentazione fotografica ufficiale
degli splendidi e sfarzosi interni di questa nave, che è diventata un mito ma
anche un emblema dell’arroganza umana.
In tanti hanno avuto modo di vedere, gironzolando qua e là su internet
piuttosto che sulla ricca bibliografia dedicata al Titanic (compreso il mio
libro), le immagini dell’elegante scalinata che tanto ha fatto sognare le nuove
generazioni, che abbiamo avuto modo di apprezzare nell’omonimo kolossal cinematografico “Titanic” di
Cameron quale luogo d’incontro dei due protagonisti. Ebbene quella
fotografia fu scattata a bordo della nave
gemella del Titanic, ossia a bordo dell’Olympic.
E se Welch non ci ha lasciato in eredità (o forse fu una precisa scelta
aziendale) qualche foto degli interni della nave più bella e più grande del
mondo, ci hanno pensato due passeggeri di prima classe a scattare qualche
immagine che rappresentasse le sontuose bellezze di quel piroscafo, eletto a simbolo
di quell’epoca del tutto bello e del tutto grande che fu la Belle Epoque.
Uno di questi era un sacerdote, salito a bordo del Titanic in virtù di un
regalo che gli aveva fatto un parente che donò un apparecchio fotograficoa Frank Browne, questo il nome dell’uomo
di chiesa.
Padre Browne immortalò tutto il fotografabile,
possibile e immaginabile. Fu lui l’autore del “servizio fotografico”, come si
direbbe oggi in termini giornalistici, del mancato incidente avvenuto alla
partenza della nave dal porto inglese di Southampton.
Per la cronaca, mancato incidente che vide
protagonista il Titanic e una piccola nave, dal nome evocativo di New York.
Ma Padre Browne riuscì a regalarci anche accurate
immagini dell’eleganza e dei decori che contraddistinsero quel mondo scintillante di cristalli, di sete, di
fiori che erano i saloni di prima classe, la sala
fumatori, la sala di lettura, il Cafè
Parisien e la palestra. Ci regalò anche momenti di vita a bordo ritraendo spensierati
passeggeri sui ponti e un bambino intento al gioco della trottola, sotto lo sguardo
vigile della propria nurse. Antesignano dei tempi moderni ci regalò una sorta
di primo selfie scattato a bordo
della sua cabina: nello specchio, addossato al comò, si può intravedere la sua sagoma…
Il reverendo, che rimase a bordo del Titanic giusto ventiquattr’ore nella prima
tratta che il transatlantico fece quindi Southampton-Cherbourg- Queenstown,
immortalò anche quella che si ritiene l’ultima fotografia della nave prima di
volgere la prua in
mare aperto, in Atlantico.
A bordo del Titanic c’era anche un famiglia, gli Odell: padre, madre, figlia e
figlio. Era quest’ultimo, Jack Odell,
un ragazzo poco più che adolescente, l’appassionato di questo strano apparecchio,
atto a impressionare e riprodurre attimi di vita. Il giovane Jack, non si
limitò a fotografare parti della nave, si spinse anche ai piani inferiori dove
c’era la piscina di bordo, una vera e propria novità a bordo di una nave. Si
ritiene, ma non ci sono le prove, che sia opera sua l’ultima fotografia
scattata al capitano Smith quando egli, di spalle rispetto al fotografo, si
allontana dal ponte, quasi per dirigersi verso quella che sarebbe diventata la vanagloria
imperitura…
Non è quindi giunta a noi invece la documentazione fotografica della
spensierata vita che si svolgeva a bordo durante la breve esistenza della nave:
gli unici fotografi fecero entrambi scalo e vissero la tragedia come uno
scampato pericolo.
A noi sono giunte immagini di quello che si ritiene l’iceberg assassino: al di là della bella documentazione fotografica,
fatta in condizioni poco felici (lascio immaginare il lettore il freddo che si
poteva patire in quelle zone), rimane indubbiamente il fascino misterioso di
aver fotografato terre e banchise inesplorate dall’uomo, almeno fino allora.
Iceberg quasi oggetti benevoli nel loro aspetto, ammantato del bianco candido
della neve che li ricopre, ma altrettanto infidi per l’uomo di mare che
percorrere quei tratti, specie di notte. Titanic insegna.
Va da sé che gli anonimi fotografi di queste meravigliose sculture di ghiaccio
e neve che la natura nella sua innocenza ci offre, quando fotografarono queste montagne
galleggianti erano del tutto ignari dell’immane tragedia che si era consumata.
Un vero e proprio scoop: sicuramente se
qualche giornale o rivista se ne fosse accorta
avrebbe coperto di bei bigliettoni verdi il fortunato e audace
fotografo.
E poi il giorno dopo la tragedia vi è una altrettanto
fornita documentazione iconografica. Da bordo della nave soccorritrice Carpathia vennero scattate fotografie che nella
loro crudezza fanno venire ancor oggi la pelle d’oca, a distanza di 103 anni da
quell’evento. Barchette in balia degli eventi (che piccole non erano se potevano
accogliere 65 persone) fotografate tra i ghiacci alla deriva. Immagini che
racchiudono freddo e gelo, ma cariche anche di umanità e volontà di
sopravvivenza.
E poi le immagini delle persone sopravvissute al dramma: uomini, donne e
bambini fotografati sui ponti della nave con quei quattro stracci e con quelle
poche coperte che si era riusciti a recuperare. Immagini simili a quelle che
quotidianamente i media ci mostrano con gli sbarchi degli immigranti sulle
nostre coste. Allora, come oggi, la fotografia, più di ogni altra parola, ci ha
aiutato ad immaginare il dramma vissuto, la“vita in diretta”.
La fotografia ci ha offerto l’opportunità di salire e di vivere a bordo del
Titanic e ci ha reso partecipe di una delle più grandi tragedie del mare che
l’uomo possa raccontare, il primo evento mediatico mondiale, grazie alla
fotografia, in grado di imprimere un segno profondo ed indelebile
nell’immaginario. Un’epoca
e di un’intera società che annegò tragicamente assieme ai suoi sogni e alle sue
illusioni, entrando poco dopo in quell’incubo che fu la Prima Guerra Mondiale.
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