Giovanna Rotondo Stuart
ha vinto il terzo premio del concorso Hombres Itinerante 2014.
potete leggere altre opere dell'autrice sul suo sito
La donna era in piedi
su un carro. Le mani legate, l’aspetto
dimesso, malandato. Un uomo, il boia, accanto a lei, la torturava con tenaglie
infuocate, piagandole la carne. Lei
pareva non avvertire il dolore, l’espressione del viso assorta… lontana.
“Presto sarà finita”, pensava. “Sono contenta, non potrà
essere peggio di così, quando sarò morta”.
Gli occhi non vedevano la folla urlante, ma i campi fioriti
nelle estati della sua breve infanzia, quando, piccola fanciulla,
raccoglieva fiori e ne faceva ghirlande
o, insieme alle contadine del suo
villaggio, nella pianura padana, cercava erbe per tisane e decotti.
Il padre, di professione maestro, le aveva insegnato a
leggere e scrivere e a far di conto. A lei, ragazzina svelta e intelligente, lo
studio piaceva molto e imparava in fretta.
In seguito, la lettura era diventata la sua passione, il suo
faro: leggeva quando poteva. Non c’erano tanti libri intorno, ma, nelle case
benestanti in cui andava a servizio, trovava sempre qualcosa. Lei, di nascosto,
leggeva tutte le parole scritte che trovava.
Le grida della gente le giungevano distanti, remote.
Al rogo, al rogo la strega…
Brucerai all’inferno!
Suo padre aveva deciso di darla in sposa, non ancora
quattordicenne, a uno che non conosceva,
che non era dei luoghi in cui viveva. Sapeva solo che era un mercante e
abitava a più di una giornata di cammino dalla loro casa. L’aveva implorato di
non farlo, di tenerla lì ancora qualche tempo. Ricordava di essersi
inginocchiata davanti a lui.
“Ti prego, padre, non farmi andare via. Tienimi qui con te.
Lavorerò giorno e notte. Qualsiasi cosa. Ti prego!”
L’aveva supplicato, ma lui non aveva voluto sentire
ragioni, né aveva dato giustificazioni
alla sua decisione.
Il matrimonio era stato un’esperienza terribile, il marito
aveva un carattere violento, la
picchiava spesso e la obbligava a
prostituirsi, lei era lontana dalla sua casa con nessun a cui chiedere
aiuto… aveva pregato in cuor suo di
morire, ma era morto lui, accoltellato in una rissa.
Aveva trovato lavoro come domestica e, per qualche anno, era
andata a servizio nella casa di una famiglia benestante che l’aveva portata a
Milano. Il lavoro era duro, ma almeno nessuno la picchiava, né la costringeva a
prostituirsi. Lei riusciva anche a leggere e a dedicarsi alla sua altra
passione: la ricerca di erbe e fiori.
Siamo qui per giudicare questa donna, colpevole di preparare
e somministrare intrugli malefici e di avere rapporti con Satana!
L’aveva accusata perentorio l’Inquisitore, alcuni mesi
prima.
“Il processo è stato una farsa inquietante. Tutte quelle
persone potenti contro una poveretta
come me. Anche se fossi stata una strega, come dicono, e forse lo sono, non
vuol dire che io abbia commesso dei crimini”.
La folla gridava sempre:
Strega, strega… devi morire!
Qualcuno le lanciava degli oggetti, la copriva d' insulti e
sputi.
“Poveri creduloni” rifletteva lei, “non esistono le streghe,
né il diavolo, né l’inferno. Li inventano loro per controllarci meglio. Esiste
solo tanto dolore”.
“I medici sono delle botti tronfie, piene di vino cattivo…
non sanno come lenire le sofferenze della gente”.
Gli avvenimenti degli ultimi mesi, in quelle aule di
tribunale, mentre la processavano con prove inesistenti e false, o nella
prigione, sotto tortura, per farle confessare colpe mai commesse, erano stati
per lei una rivelazione.
L’accusata pratica la magia nera. Si è macchiata di gravi
peccati: atti di stregoneria, rapporti promiscui con il Demonio. Omicidio.
Continuò l’Inquisitore rivolgendosi ai membri della Corte:
tutti maschi, vestiti di nero, seri, severi.
Che cos’ha da dire a sua discolpa?
Le chiese, guardandola.
Nulla.
Rispose, scuotendo la testa.
Prepara pozioni e filtri magici?
Sì…
Per quale ragione?
Per alleviare il dolore di chi soffre…
Sacrilegio! Questo è
compito di Dio, non delle donne, né tantomeno delle streghe. Solo Dio può
alleviare il dolore. Ha mai avuto rapporti carnali con il Diavolo?
Sì.
Assentiva lei, annuendo.
“Sì, ho avuto rapporti con il diavolo ogni qualvolta sono
stata stuprata, violentata o picchiata da qualcuno di voi”. Ma non lo disse.
Quante volte?
Non lo so!
Molte?
Forse.
Sussurrava, tenendo gli occhi bassi.
Ha tentato volontariamente di avvelenare le persone presso
le quali era a servizio?
“Ho preparato solo delle bevande calmanti, con fiori di
camomilla o foglie di malva”. Ma taceva e piegava la testa:
Sì.
Bisbigliava.
Si chiedeva se tutti quegli uomini di scienza, di cultura,
di chiesa, si rendessero conto dell’assurdità di ciò che facevano o dicevano.
“Lo faranno per paura, perché ci credono o gli va bene così?”
Rispondeva “sì” a qualsiasi folle domanda le venisse posta,
qualsiasi cosa, purché non la torturassero.
Non c’era scampo, come nel supplizio dell’acqua che veniva
inflitto a una presunta strega: se
questa fosse andata a fondo, con una pietra legata al collo, sarebbe stata
innocente, ma sarebbe morta annegata, se fosse rimasta a galla, sarebbe stata
colpevole e giustiziata. Un meccanismo perverso!
Ed erano tutti uomini…
“Come mai non c’è mai una donna in queste strane assemblee?”
Aveva scoperto il potere degli uomini: ti violentavano e poi
ti accusavano di aver peccato, ti chiedevano delle erbe per i loro mali e poi
ti accusavano di essere una strega.
T’ imprigionavano, ti torturavano finché non confessavi ciò
che volevano… ti bruciavano sul rogo per peccati che non avevi commesso, né
pensato si potessero commettere.
E’ vero che l’accusata ha abbandonato le sue figlie avute
fuori dal matrimonio, frutto della sua fornicazione?
“No, non è vero, non è assolutamente vero”.
L’impulso di urlare con tutta la forza di cui era ancora
capace, l’aveva scossa con violenza. Ma sapeva che poi l’avrebbero torturata
per farle dire che era vero! Non intendeva stare al gioco, avrebbe detto loro tutto ciò che volevano
dicesse. Glielo avrebbe detto da subito.
Un giorno aveva incontrato un uomo d’arme, un capitano,
viveva solo e le aveva chiesto di tenere casa per lui. Lei aveva accettato. Nel
giro di pochi anni erano nate due figlie. Lei ascoltava il loro respiro, ne
vegliava il sonno e, mentre dormivano,
sfiorava i contorni dei loro visini con la punta delle dita
_ Risponda!
_ Sì, è vero.
Mormorò in un sospiro di dolore!
Sentiva nel cuore il grido delle figlie che piangevano:
“mamma, mamma dove sei?” Lo sentiva ogni momento, da allora.
Chiuse gli occhi e sorrise tra sé rivedendo i loro volti di
neonate e di più grandicelle, poi. Le aveva amate più di ogni ragione! Le
accarezzò teneramente:
“Addio bambine mie!”
L’avevano costretta a lasciarle in tenera età. Il vescovo
aveva ingiunto a lei e al loro padre di dividersi. Erano insieme da molti anni,
senza essere sposati e vivevano nel peccato: dovevano essere separati! Il padre
delle sue figlie non aveva potuto o voluto sposarla.
“Speravo di accudirvi per tutta la vita, di insegnarvi a
leggere e scrivere!”
La obbligarono a prendere servizio in casa di una
nobildonna.
Confessa di essere
una strega e di aver compiuto riti di magia nera, con l’aiuto di Satana?
Sì!
Rispose, lei decisa.
Dopo aver esaminato i gravi crimini di stregoneria, i
rapporti perversi con il Demonio, i comportamenti sacrileghi attribuiti a
questa donna e liberamente confessati dall’accusata, questo Tribunale la
condanna al rogo!
A lei non interessava ascoltare la sentenza, sapeva che
l’avrebbero condannata a bruciare, viva o morta, non cambiava molto. Non aveva
più nulla, neanche il suo nome. Si concentrò sulla visione delle sue creature.
“Vi cantavo una ninna nanna per farvi addormentare, cambiavo
sempre le parole: dormi, dormi mia piccina, dormi, dormi bel visino, ninna
nanna piccoline!”
Erano quasi giunti a
destinazione, si vedeva, sul fondo, la catasta con il palo su cui sarebbe stata
issata e giustiziata. Intonò una dolce nenia, il suo viso si distese in un attimo
di amore.
Il boia scambiò per lamenti la cantilena sommessa e le
inflisse altre torture, altro dolore, ma nulla poteva turbare la strega in quel
momento.
“Vi auguro ogni bene, figlie mie. Addio!”
Il carro si fermò, erano arrivati al punto in cui lei doveva
essere impiccata e poi arsa, non molto distante era stato allestito il fuoco.
Lanciò un’occhiata distratta alla folla, che si era zittita:
“Senza dubbio, altre sciagurate si sono rese conto degli
orrendi misfatti perpetrati nel nome di
Dio. In nome di Dio e mostrando il crocifisso, si commettono crimini
terribili”. Pensò per un momento, guardando i monaci che pregavano con il
crocefisso alto, visibile a tutti.
La chiesa perseguiva una violenta caccia alle streghe. Una
caccia fiorente e proficua: confiscava i
beni delle presunte streghe e di tutti coloro che avevano, si credeva, rapporti
con il diavolo, o erano denunciati perché praticavano riti magici, o ritenuti
colpevoli di eresia.
Il boia la fece scendere dal carro e la spinse verso
l’impalcatura, c’erano dei gradini di legno, li salì.
“Chissà se mi bruciano da subito o mi strangolano prima come
atto di clemenza, per aver confessato, concedendomi di soffrire meno…”
Non capitava spesso che una donna arrivasse a delle
conclusioni, era accaduto a una come lei: povera e sola, a cui era stata
inflitta una condanna assurda. E forse era proprio questa la ragione!
Aveva compreso che chi fosse capitato nell’ingranaggio
veniva stritolato. La giustizia non
esisteva, non c’era e non c’entrava. Non poteva esserci giustizia là dove era
ammessa la tortura. La tortura era strumentale alla confessione, se non
confessi, ti faremo confessare con insopportabile dolore. Solo la mente umana
poteva escogitare mezzi talmente perversi
a cui non si poteva resistere.
La tortura era un’arma immonda: si confessava qualsiasi
cosa! Le tenaglie infuocate, le forche, i roghi e quant’altro, erano nulla in
confronto.
Si mise a cantare piano, con voce dolce, intanto che saliva
i gradini:
Ninna nanna, dormi dormi, mia piccina che la mamma ti è vicina.
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