«Era
un po’ come quella filastrocca che diceva: “E venne il gatto che si mangiò il
topo, che al mercato eccetera eccetera”. Se il tempo non si fosse messo al
bello, non sarei andata a far visita a Charlotte Blair; non sarei stata là con
gli occhi sgranati quando le cose stavano accadendo; non sarei stata costretta
ad assumere il ruolo della testimone inerme, una parte pericolosa quando le
pallottole ti passano accanto. E poiché non avrei saputo niente del caso,
tranne ciò che avrei letto nei quotidiani, non sarei stata della minima utilità
alle persone coinvolte. Ma ci andai. Vidi ciò che nessun altro vide.»
Siamo nel 1939 o giù di lì. Una simpatica donna sulla
cinquantina, Harriet Trumbull, abituata al brillante mondo newyorkese, va a
trovare un’amica che soffre di “paturnie” nella campagna del Connecticut
pensando di annoiarsi, ma si ritrova in un giallo intricato.
Tutto ruota attorno a una splendida vetrata istoriata per la
cattedrale, opera di un grande artista, Frederick Ullathorne, che nella vita è uomo
malvagio, arrogante, insensibile. Nell’officina vengono ritrovati resti umani,
ossa e cenere bruciati: chi può essere la vittima di questo atroce delitto? Sembra
proprio Frederick...chi può averlo ucciso? Jake Murphy, un operaio che aveva
buoni motivi per sabotare il lavoro? Leo l’avvenente figlio di Frederick, così
poco apprezzato dal padre e suo rivale in amore? Una misteriosa signora bruna,
forse italiana? Miss Trumbull dimostra subito uno spirito d’osservazione molto
superiore a quella del detective Skinner.
La scrittrice regala gustose e divertenti sketch attorno
alla scena del crimine e nell’inchiesta del coroner. La figura
dell’investigatrice dilettante è delineata con un garbo e un’eleganza tipica
del giallo classico inglese d’altri tempi di cui Agatha Christie rimane regina
indiscussa. Il pettegolezzo di paese, la chiacchiera tra donne, il mentore che
aiuta la donzella come un cavaliere medievale – qui veste i panni distinti di
Edgar Farraday, un vero gentlemen con tanto di garofano all’occhiello – sono fondamentali
per l’indagine. Harriet trova tante piste da seguire, che però deve eliminare
una a una fino a trovare il bandolo della matassa e a smascherare il colpevole,
non senza gravi rischi per lei.
Paragonato a tanti thriller attuali, specchio della nostra
società violenta, complicata e disincantata, “Il mistero della vetreria” è un
giallo dall’eleganza d’altri tempi, che solletica il lettore proponendogli
false piste e falsi sospettati, lo porta al colpo di scena finale dove il
colpevole è più vicino di quanto si potesse sospettare, senza proporgli scene violente
e omicidi al limite dell’horror oppure assassini psicopatici che aumentano
l’ansia quotidiana. Un libro rilassante che, senza dimenticare i canoni del
genere classico, è adatto a tutti per passare qualche ora con l’intrigante
piacere di una buona lettura gialla.
Margaret Armstrong nacque nel 1867 a New York da una famiglia
socialmente in vista. Per gran parte della sua vita fu illustratrice molto
apprezzata di copertine in stile Art Nouveau e solo in età avanzata si dedicò
alla scrittura, diventando un’esponente tardiva della Golden Age. Scrisse solo
tre romanzi gialli che trovarono un’eco molto positiva nella critica; tra i
suoi lettori ebbe anche Agatha Christie. Haycraft, uno dei maggiori studiosi
del genere giallo, la considerò tra le migliori scrittrici che ricorsero nei
loro romanzi alla tecnica dell’HIBK (Had I But Know ovvero “se lo avessi
saputo”), di cui un’altra autrice americana, Mary Roberts Rinehat, fu
l’iniziatrice.
La CasaEditrice milanese “Le Assassine” pubblica la collana Oltreconfine, per far conoscere al pubblico italiano le più interessanti
donne gialliste di ogni cultura, europea ed extraeuropea e la collana Vintage che ripubblica libri di scrittrici di tempi passati, da
riscoprire come le antenate, le pioniere del giallo moderno, in testi
d’ambiente e d’atmosfera.